domenica 28 dicembre 2014

Wintermorgen

Die Fee, bei der er einen Wunsch frei hat, gibt es für jeden. Allein nur wenige wissen sich des Wunsches zu entsinnen, den sie taten; nur wenige erkennen darum später im eignen Leben die Erfüllung wieder. Ich weiß den, der mir in Erfüllung ging, und will nicht sagen, daß er klüger gewesen ist als der der Märchenkinder. Er bildete sich in mir mit der Lampe, wenn sie am frühen Wintermorgen um halb sieben sich meinem Bette näherte und den Schatten des Kindermädchens an die Decke warf. Im Ofen wurde Feuer angezündet. Bald sah die Flamme, wie in ein viel zu kleines Schubfach eingepfercht, wo sie vor Kohlen kaum sich rühren konnte, zu mir hin. Und doch war es ein so Gewaltiges, das dort in nächster Nähe, kleiner als ich selbst, sich einzurichten anfing, und zu dem die Magd sich tiefer bücken mußte als zu mir. Wenn es versorgt war, tat sie einen Apfel zum Braten in die Ofenröhre. Bald zeichnete sich das Gatter der Kamintür im roten Flackern auf der Diele ab. Und meiner Müdigkeit kam vor, sie habe an diesem Bilde für den Tag genug. So war es um diese Stunde immer; nur die Stimme des Kindermädchens störte den Vollzug, mit dem der Wintermorgen mich den Dingen in meinem Zimmer anzutrauen pflegte. Noch war die Jalousie nicht hochgezogen, da schob ich schon zum erstenmal den Riegel der Ofentür beiseite, um dem Apfel in seiner Röhre nachzuspüren. Manchmal hatte er sein Arom noch kaum verändert. Und dann geduldete ich mich, bis ich den schaumigen Duft zu wittern glaubte, der aus einer tieferen und verschwiegeneren Zelle des Wintertages kam als selbst der Duft des Baums am Weihnachtsabend. Da lag die dunkle, warme Frucht, der Apfel, der sich, vertraut und doch verändert wie ein guter Bekannter, der verreist war, bei mir einfand. Es war die Reise durch das dunkle Land der Ofenhitze, der er die Arome von allen Dingen abgewonnen hatte, welche der Tag mir in Bereitschaft hielt. Und darum war es auch nicht sonderbar, daß immer, wenn ich an seinen blanken Wangen meine Hände wärmte, ein Zögern mich beschlich, ihn anzubeißen. Ich spürte, daß die flüchtige Kunde, die er in seinem Dufte brachte, allzu leicht mir auf dem Wege über meine Zunge entkommen könne. Jene Kunde, die mich manchmal so beherzte, daß sie mich noch auf dem Marsch zur Schule tröstete. Dort angelangt, kam freilich bei Berührung mit meiner Bank die ganze Müdigkeit, die erst verflogen schien, verzehnfacht wieder. Und mit ihr jener Wunsch: ausschlafen zu können. Ich habe ihn wohl tausendmal getan und später ging er wirklich in Erfüllung. Doch lange dauerte es, bis ich sie darin erkannte, daß noch jedesmal die Hoffnung, die ich auf Stellung und ein sicheres Brot gehegt hatte, umsonst gewesen war.

Berliner Kindheit um Neunzehnhundert


Mattino d'inverno

La fata a cui si ha il diritto di chiedere un desiderio esiste per ciascuno di noi, solo che pochi riescono a ricordarsi del desiderio espresso, così solo pochi riconoscono il suo compimento nel corso della propria vita. Io so bene quello che si è avverato e non voglio dire che sia stato più ragionevole di quello dei bambini delle favole. Prendeva forma in me con la lampada, quando questa si avvicinava al mio letto nel primo mattino d'inverno, alle sei e mezza, proiettando l'ombra della bambinaia sul soffitto. Nella stufa veniva acceso il fuoco. Subito la fiamma, come se fosse stipata in un cassetto troppo piccolo dove poteva agitarsi a mala pena, data la quantità di carbone, si metteva a guardarmi. Eppure era così formidabile quello che iniziava a compiersi lì, così vicino a me, ancora più piccolo di me, a cui la domestica doveva chinarsi ancor di più che per raggiungere me. Quando il fuoco era pronto, metteva una mela a cuocere nel forno. Subito la griglia dello sportello del camino si profilava in forma di guizzi rossi sulla tavola. E alla mia fatica sembrava sempre di averne abbastanza, di questa visione, per il resto del giorno. Così era immancabilmente a quell'ora; solo la voce della bambinaia disturbava il raccoglimento con cui il mattino d'inverno aveva l'abitudine di presentarmi gli oggetti della mia stanza. La tenda non era ancora sollevata che già scostavo per la prima volta la sbarra dello sportello del forno per sorprendere la mela nel suo forno. Qualche volta non aveva ancora cambiato il suo aroma. E poi pazientavo fino a quando credevo di avvertire il profumo schiumoso che proveniva da una cellula della giornata invernale più profonda e più sorda ancora del profumo dell'albero la vigilia di Natale. Eccolo lì, il frutto scuro, caldo, la mela che, familiare eppure cambiata come cambia un buon conoscente che torni dopo un lungo viaggio, si presentava dinanzi a me. Era il viaggio attraverso l'oscuro paese del calore del forno, che aveva assorbito gli aromi di tutte le cose che la giornata mi riservava. Ed è per questo che non era neppure strano che, se mi scaldavo le mani alle sue guance lisce, mi prendesse a poco a poco inevitabilmente un'esitazione che mi tratteneva dal morderla. Avvertivo che la fugace notizia che apportava nel suo profumo poteva sfuggire troppo facilmente, mentre prendeva la via della mia lingua. Quella notizia che talvolta si impadroniva a tal punto del mio cuore che mi consolava ancora durante il mio cammino verso la scuola. Arrivato là, al contatto col mio banco, la fatica, che prima sembrava dissipata, ritornava decuplicata, e con essa quel desiderio: poter fare una lunga dormita. L'ho formulato un migliaio di volte ed in seguito si sarebbe davvero realizzato, ma mi ci è voluto molto tempo prima di poter riconoscere che la speranza riposta in un'occupazione e in un pane sicuro si rivela ogni volta vana.

sabato 27 dicembre 2014

Renzi sul mio divano

C'era Renzi sul mio divano, poche sere fa. Un flusso continuo di parole (rò-rà-remo-rò-rà-remo-rò-rà-remo) mitragliate all'altezza dei cuscini e diffuse ovunque nella stanza: impossibile ignorarlo. Rò-rà-remo. Abbandonato lì disteso da mia madre, interessata a sentir parlare di cose italiane anche quando viene a trovarmi, dentro un piccolo apparecchio elettronico che ne diffondeva la voce da uno studio televisivo fino a me. Rò-rà-remo. Renzi a casa mia, dico, ché la sua voce è tutto quello di cui sembra essere composto. Non sembra avere corpo, pensieri, non suoi almeno*, o parole di qualche significato che vadano al di là dell'affermazione di sé e - a ruota - della denigrazione dell'avversario, specie se del proprio partito. Rò-rà-remo-rò-rà-remo-rò-rà-remo. Non sono neanche sicurissima parlasse italiano, quella sera in cui ha occupato abusivamente il mio divano: nessuna pausa o titubanza, troppa energia, troppa fretta, troppi verbi coniugati al futuro, un verbo su tutti: fare. Farò-farà-faremo.
Per sua fortuna la mia stanchezza decembrina impediva alla stizza di montare**, mentre lui non aveva pietà, né di me né del suo interlocutore, che deve aver infilato due mezze parole compiacenti, tra una raffica verbale e l'altra.
Togliti da lì, pensavo, se proprio non puoi smetterla, levati dal mio divano, che è dedicato esclusivamente ad Oblomov e ai suoi seguaci, vai a trovare Hollande, proponigli una gara in scooter, sfida Valls a corsa, tieni una conferenza sul patto del Nazareno o sulla fraternité con i compagni di partito a Sciences Po, vai a farti fotografare in una posa plastica mentre corri davanti alla tour Eiffel, buca le Ninfee di Monet per cercare Leonardo, vai a vedere la Gioconda e smarrisciti nel suo enigma***, se possibile. Oppure, più semplicemente, non dico di tacere, che è azione articolata, ma respira, respira ogni tanto e, per una volta nella vita, compi una piccola azione da uomo: infragilisciti.

* In this present crisis, government is not the solution to our problem, government is the problem, Ronald Reagan, 20 gennaio 1981.
New Labour believes in a flexible labour market that serves employers and employees alike, Manifesto del Partito laburista, 1997 
** Mi sono riposata, in questi ultimi due giorni: ma ch'el vadi in monazza, ch'el vadi. 
*** Anche perché diciamo la verità: la Gioconda è più enigmatica che bella, Matteo Renzi, Stil novo, Rizzoli 2012.

giovedì 25 dicembre 2014

This is my project

Photography, photographers, photographs deal with facts.
I have been photographing the United States, trying by investigating photographically to learn who we are and how we feel, by seeing what we look like as history has been and is happening to us in this world.
Since World War II we have seen the spread of affluence, the move to the suburbs and the spreading of them, the massive shopping centers to serve them, cars for to and from. New schools, churches, and banks. And the growing need of tranquilizer peace, missile races, H bombs for overkill, war and peace tensions, and bomb shelter security. Economic automation problems, and since the Supreme Court decision to desegregate schools, we have the acceleration of civil liberties battle by Negroes.
I look at the pictures I have done up to now, and they make me feel that who we are and how we feel and what is to become of us just doesn’t matter. Our aspirations and successes have been cheap and petty. I read the newspapers, the columnists, some books, and I look at some magazines (our press). They all deal in illusions and fantasies. I can only conclude that we have lost ourselves, and that the bomb may finish the job permanently, and it just doesn’t matter, we have no loved life.
I cannot accept my conclusions, and so I must continue this photographic investigation further and deeper. This is my project.

Garry Winogrand, application for a Guggenheim fellowship, 1963
/domanda di borsa di studio Guggenheim, 1963

La fotografia, i fotografi, le fotografie hanno a che vedere con i fatti.
Ho sempre fotografato gli Stati Uniti cercando di imparare, le mie foto come strumento di ricerca, chi siamo e come ci sentiamo, vedendo quale aspetto abbiamo nel corso della storia passata e presente in questo mondo. 
Fin dalla Seconda guerra mondiale abbiamo visto la ricchezza diffondersi, le persone spostarsi verso le periferie e queste ultime espandersi, la creazione di enormi centri commerciali a loro destinati e l'andirivieni di automobili. Nuove scuole, chiese e banche. E la crescente esigenza di pace rassicurante, le corse ai missili, le bombe ad idrogeno ad elevato potenziale distruttivo, l'alternanza di tensioni tra la guerra e la pace e la sicurezza dei rifugi antibomba. Problemi di automazione economica e, da quando la Corte Suprema ha deciso di mettere al bando la segregazione nelle scuole, abbiamo l'accelerazione della battaglia per le libertà civili da parte dei neri.
Guardo le foto che ho fatto finora: mi fanno capire che chi siamo e come ci sentiamo e quello che diventeremo non conta proprio niente. Le nostre aspirazioni e i nostri successi sono stati di scarso valore, insignificanti. Leggo i giornali, gli editorialisti, alcuni libri e guardo qualche rivista (la nostra stampa). Si occupano tutti di illusioni e fantasie. Posso solo concludere che abbiamo smarrito noi stessi e che la bomba potrebbe definitivamente finire il lavoro, e non ha proprio alcuna importanza: la nostra vita è senza amore.
Non mi rassegno ad accettare queste conclusioni, per cui devo proseguire questa ricerca e devo condurla più a fondo. Questo è il mio progetto.