sabato 29 giugno 2013

Horror vacui

Mi sono accorta solo di recente, e solo perché me l'hanno fatto notare, che sono una grande lettrice di targhe e cartelli. Ultimamente, per lavoro mi è capitato di muovermi in un paesaggio che ne offriva moltissimi, tutti però, purtroppo, a me illeggibili. Riconoscendo solo qualche manciata di caratteri kanji e meno di cinque sillabe kana, il resto era buio totale, se non fosse stato per la fantasia, cui devo essermi affidata per riempire i vuoti, e per un prepotente ritorno ai due dialetti familiari, che probabilmente sono riemersi nella mia testa con lo stesso inconscio scopo. Così, per esempio, l'uscita (出口) si è venuta naturalmente a confondere con un uomo che cerca una via di fuga verso un'apertura sbracciandosi, inseguito dalle fiamme di un indomabile incendio, mentre l'ufficio (局) con una sedia sotto cui cade una carta appallottolata ed il mare (海) con una nassa immersa nell'acqua che col tempo si arrugginisce al punto tale da dover ricorrere ad un martello, per poterla aprire. Così, poi, gli ideogrammi sono diventati pupoli, i kimoni flaide e il sonno, cui un discreto numero di giapponesi si lascia andare non appena si siede a bordo di un qualsiasi mezzo di trasporto pubblico, si è automaticamente tradotto in una irresistibile, pesantissima sonera.

Una strada di Ōsaka
Un karaoke di Kyōto
Un incrocio di Daitō 
Una casa di Takayama
Un bar di Takayama
Un fabbro di Takayama

venerdì 7 giugno 2013

Recto-verso

Paris, 1933, La République est fichue (La Repubblica è spacciata)
Paris, 1933,  NOITATSETORP EEMREF (ATSETORP OSUIHC)

giovedì 6 giugno 2013

LXXI.

No longer mourn for me when I am dead
Than you shall hear the surly sullen bell
Give warning to the world that I am fled
From this vile world, with vilest worms to dwell:
Nay, if you read this line, remember not
The hand that writ it; for I love you so,
That I in your sweet thoughts would be forgot,
If thinking on my then should make you woe.
O! if, I say, you look upon this verse,
When I perhaps compounded am with clay,
Do not so much as my poor name rehearse,
But let your love even with my life decay;
Lest the wise world should look into your moan,
And mock you with me after I am gone.

William Shakespeare


Setantauno

Quando che sarò andà a sburtar radicio, smeti el luto 'pena che le campane le gaverà finì de sonar a morto per dirghe a tuti che me la son mocada da 'sto mondo de memele per 'ndar a star coi vermi più schifosi; piutosto, se te legerà 'sto verso, no sta ricordarte de la man che lo ga scrito, perché te voio cussì ben che me dismentigassi nei tui teneri pensieri, piutosto de vederte triste, a pensar a mi. Oh, se inveze, come go za dito, te capiterà de veder 'sto verso qua, quando che magari sarò tuto missiado co' la creta, no sta gnianca provar a ciamarme, ma lassa che el nostro amor finissi co' la mia vita, ché no volessi che quei che ga capì tuto i guardi dentro le tue lagrime e i cioghi pel cul no solo mi, che no saria grave, ma anche ti, quando che no sarò più.