lunedì 29 ottobre 2012

Dizionario di tutte 'e cose: C come Colpo all'italiana

Il colpo era stato dato all'italiana, vale a dire che l'assassino aveva rigirato il coltello nella ferita, in modo da farne girare la punta all'interno.
 Le Figaro, 11 febbraio 1879 


martedì 23 ottobre 2012

Como piden pan o como anhelan la lluvia

Cuando alguien va al teatro, a un concierto o a una fiesta de cualquier índole que sea, si la fiesta es de su agrado, recuerda inmediatamente y lamenta que las personas que él quiere no se encuentren allí. "Lo que le gustaría esto a mi hermana, a mi padre", piensa, y no goza ya del espectáculo sino a través de una leve melancolía. Ésta es la melancolía que yo siento, no por la gente de mi casa, que sería pequeño y ruin, sino por todas las criaturas que por falta de medios y por desgracia suya no gozan del supremo bien de la belleza que es vida y es bondad y es serenidad y es pasión.
Por eso no tengo nunca un libro, porque regalo cuantos compro, que son infinitos, y por eso estoy aquí honrado y contento de inaugurar esta biblioteca del pueblo, la primera seguramente en toda la provincia de Granada.
No sólo de pan vive el hombre. Yo, si tuviera hambre y estuviera desvalido en la calle no pediría un pan; sino que pediría medio pan y un libro. Y yo ataco desde aquí violentamente a los que solamente hablan de reivindicaciones económicas sin nombrar jamás las reivindicaciones culturales que es lo que los pueblos piden a gritos. Bien está que todos los hombres coman, pero que todos los hombres sepan. Que gocen todos los frutos del espíritu humano porque lo contrario es convertirlos en máquinas al servicio de Estado, es convertirlos en esclavos de una terrible organización social.
Yo tengo mucha más lástima de un hombre que quiere saber y no puede, que de un hambriento. Porque un hambriento puede calmar su hambre fácilmente con un pedazo de pan o con unas frutas, pero un hombre que tiene ansia de saber y no tiene medios, sufre una terrible agonía porque son libros, libros, muchos libros los que necesita y ¿dónde están esos libros?
¡Libros! ¡Libros! Hace aquí una palabra mágica que equivale a decir: 'amor, amor', y que debían los pueblos pedir como piden pan o como anhelan la lluvia para sus sementeras. Cuando el insigne escritor ruso Fedor Dostoyevsky, padre de la revolución rusa mucho más que Lenin, estaba prisionero en la Siberia, alejado del mundo, entre cuatro paredes y cercado por desoladas llanuras de nieve infinita; y pedía socorro en carta a su lejana familia, sólo decía: "¡Enviadme libros, libros, muchos libros para que mi alma no muera!' Tenía frío y no pedía fuego, tenía terrible sed y no pedía agua: pedía libros, es decir, horizontes, es decir, escaleras para subir la cumbre del espíritu y del corazón. Porque la agonía física, biológica, natural, de un cuerpo por hambre, sed o frío, dura poco, muy poco, pero la agonía del alma insatisfecha dura toda la vida.
Ya ha dicho el gran Menéndez Pidal, uno de los sabios más verdaderos de Europa, que el lema de la República debe ser: 'Cultura'. Cultura porque sólo a través de ella se pueden resolver los problemas en que hoy se debate el pueblo lleno de fe, pero falto de luz. Y no olvidéis que lo primero de todo es la luz.

Federico García Lorca, Fuentes Vaqueros, 1931

Quando si va a teatro, ad un concerto o ad una festa, qualunque sia la propria indole, se la festa piace, la mente va alle persone care e ci si rammarica per la loro assenza. "Quanto piacerebbe a mia sorella, a mio padre", si pensa, e il piacere tratto dallo spettacolo è filtrato da una lieve malinconia. È la stessa malinconia che io provo non tanto per la gente di casa mia, perché sarebbe misero e riduttivo, ma per tutte le creature che, per carenza di mezzi o per disgrazia, non godono del bene supremo della bellezza, che è vita ed è bontà ed è serenità ed è passione.
Per questo non tengo per me neppure un libro, perché quanti ne compro, vale a dire infiniti, tanti ne regalo, ed è per questo che è un onore ed una gioia per me essere qui, ad inaugurare questa biblioteca del popolo, la prima sicuramente di tutta la provincia di Granada.
Non di solo pane vive l'uomo. Io, se avessi fame e mi trovassi in disgrazia per strada, non chiederei una pagnotta, ma mezza pagnotta e un libro. E nel luogo in cui ci troviamo adesso, attacco violentemente coloro che parlano solo di rivendicazioni economiche senza mai nominare le rivendicazioni culturali, che sono quelle che i popoli richiedono con insistenza. È un bene che tutti gli uomini mangino, ma anche che tutti gli uomini abbiano la conoscenza, che traggano beneficio da tutti i frutti dello spirito umano, perché il contrario significherebbe trasformarli in macchine al servizio dello Stato, trasformarli in schiavi di una terribile organizzazione sociale.
Mi dispiace molto di più per un uomo che abbia desiderio di sapere e non ci riesce che per un uomo affamato. Perché un uomo affamato può placare facilmente la fame con un pezzo di pane o con della frutta, ma un uomo che ha sete di sapere e non ne ha i mezzi soffre di una terribile agonia, perché sono libri, libri, molti libri, quello di cui ha bisogno, e dove sono questi libri?
Libri! Libri! Ecco una parola magica che equivale a dire: "Amore, amore", e che i popoli devono pretendere, come chiedono pane o come desiderano la pioggia per le loro semine. Quando il famoso scrittore russo Fëdor Dostoevskij, padre della rivoluzione russa molto di più di Lenin, era prigioniero in Siberia, isolato dal mondo, tra quattro pareti e circondato da pianure deserte di neve infinita, e chiedeva aiuto per iscritto alla sua famiglia lontana, si limitava a dire: "Mandatemi libri, libri, molti libri, perché la mia anima non muoia!" Aveva freddo e non chiedeva fuoco, aveva una terribile sete e non chiedeva acqua: chiedeva libri, vale a dire orizzonti, vale a dire gradini per ascendere alle vette dello spirito e del cuore. Perché l'agonia fisica, biologica, naturale, di un corpo, dovuta alla fame, alla sete o al freddo, dura poco, molto poco, mentre l'agonia dell'anima insoddisfatta dura tutta la vita.
Il grande Menéndez Pidal, uno dei saggi più autentici d'Europa, ha detto che il motto della Repubblica deve essere "Cultura". Cultura, perché è solo attraverso questa che si possono risolvere i problemi in cui si dibatte oggi il popolo, pieno di fede, ma privo di luce. E non dimenticate che l'origine di tutto è la luce.

Come per qualsiasi* parola, pane, a dispetto di tutte le apparenze, è solo un'approssimazione di pan. Per tradurre pan, bisognerebbe sapere come minimo come lo si mangia in Spagna e, per tradurre il pan nominato da García Lorca, bisognerebbe sapere almeno come lo si mangia a Fuentes Vaqueros, come lo si prepara, quanto si debba aspettare prima che lieviti, in quale tipo di carta venga avvolto, se si abbia l'abitudine di tagliarlo o di spezzarlo, prima di mangiarlo, in quali occasioni  e quanto spesso poi si mangi, quali cibi sia destinato ad accompagnare, quale suono produca quando lo si addenta, quale sapore lasci in bocca, se sia tabù giocarci per farci delle palline con la mollica, se si secchi presto, una volta lasciato all'aria, se soffra molto l'umidità o meno, ecc. ecc. Impossibile. Impossibile come placare la fame con un pezzo di pane carasau. O fare un panino con una coppia ferrarese. O usare una michetta come fermaporte. O spezzare una s'ciopeta secondo una linea di taglio diversa da quelle che ne separano il cuore dai bozzi laterali. O usare il tempo di lievitazione del pane azzimo come unità di tempo fondamentale.
*Anche per libro è così. A dispetto di tutte le apparenze, un libro non è esattamente un libro**.
**Offerto dalla casa a chiunque voglia prendersi gioco di me.

sabato 20 ottobre 2012

Hier in Frankreich

Hier in Frankreich ist mir gleich nach meiner Ankunft in Paris mein deutscher Name »Heinrich« in »Henri« übersetzt worden, und ich mußte mich darin schicken und auch endlich hierzulande selbst so nennen, da das Wort Heinrich dem französischen Ohr nicht zusagte und überhaupt die Franzosen sich alle Dinge in der Welt recht bequem machen. Auch den Namen »Henri Heine« haben sie nie recht aussprechen können, und bei den meisten heiße ich Mr. Enri Enn; von vielen wird dieses in ein Enrienne zusammengezogen, und einige nannten mich Mr. Un rien.
Das schadet mir in mancherlei literarischer Beziehung, gewährt aber auch wieder einigen Vorteil. Z. B. unter meinen edlen Landsleuten, welche nach Paris kommen, sind manche, die mich hier gern verlästern möchten, aber da sie immer meinen Namen deutsch aussprechen, so kommt es den Franzosen nicht in den Sinn, daß der Bösewicht und Unschuldbrunnenvergifter, über den so schrecklich geschimpft ward, kein anderer als ihr Freund Monsieur Enrienne sei, und jene edlen Seelen haben vergebens ihrem Tugendeifer die Zügel schießen lassen; die Franzosen wissen nicht, daß von mir die Rede ist, und die transrhenanische Tugend hat vergebens alle Bolzen der Verleumdung abgeschossen.
Es hat aber, wie gesagt, etwas Mißliches, wenn man unsern Namen schlecht ausspricht. Es gibt Menschen, die in solchen Fällen eine große Empfindlichkeit an den Tagen legen. Ich machte mir mal den Spaß, den alten Cherubini zu befragen, ob es wahr sei, daß der Kaiser Napoleon seinen Namen immer wie Scherubini und nicht wie Kerubini ausgesprochen, obgleich der Kaiser des Italienischen genugsam kundig war, um zu wissen, wo das italienische ch wie ein que oder k ausgesprochen wird. Bei dieser Anfrage expektorierte sich der alte Maestro mit höchst komischer Wut.
Ich habe dergleichen nie empfunden.
Heinrich, Harry, Henry – alle diese Namen klingen gut, wenn sie von schönen Lippen gleiten. Am besten freilich klingt Signor Enrico. So hieß ich in jenen hellblauen, mit großen silbernen Sternen gestickten Sommernächten jenes edlen und unglücklichen Landes, das die Heimat der Schönheit ist und Raffael Sanzio von Urbino, Joachimo Rossini und die Principessa Cristina Belgiojoso hervorgebracht hat.
Da mein körperlicher Zustand mir alle Hoffnung raubt, jemals wieder in der Gesellschaft zu leben, und letztere wirklich nicht mehr für mich existiert, so habe ich auch die Fessel jener persönlichen Eitelkeit abgestreift die jeden behaftet, der unter den Menschen, in der sogenannten Welt sich herumtreiben muß.

Heinrich Heine, Memoiren, Kapitel 6.


Qui in Francia, subito dopo il mio arrivo a Parigi, il mio nome tedesco »Heinrich« è stato tradotto in »Henri« e ho dovuto adattarmici e alla fine chiamarmi io stesso così, da queste parti, visto che la parola Heinrich non si confaceva ad orecchie francesi e in generale i francesi conformano a sé tutte le cose dell'universo. Non sono mai riusciti a pronunciare bene nemmeno il nome »Henri Heine« e, per la maggior parte delle persone, mi chiamo Mr. Enri Enn, da molti contratto in un Enrienne, che talvolta finisce col diventare Mr. Un rien.
La cosa mi danneggia in qualche misura sotto l'aspetto letterario, ma comporta anche alcuni vantaggi. Per es., tra i miei connazionali nobili che vengono a Parigi, ve ne sono alcuni cui piace calunniarmi, ma siccome pronunciano sempre il mio nome alla tedesca, ai francesi non passa per l'anticamera del cervello che il furfante e l'avvelenatore dei pozzi dell'innocenza contro cui inveiscono con tanta veemenza non sia nessun altro che il loro amico Monsieur Enrienne, ma quelle anime nobili hanno dato invano la stura al loro zelo virtuoso: i francesi non sanno che si parla di me e la virtù transrenana ha scoccato invano tutte le frecce della calunnia.
Però, come detto, c'è qualcosa di spiacevole nel sentire pronunciare male il proprio nome. Ci sono persone che in tali casi sono estremamente suscettibili. Mi sono tolto lo sfizio di chiedere al vecchio Cherubini se fosse vero che l'imperatore Napoleone pronunciava sempre il suo nome Scerubini e non Kerubini, nonostante l'imperatore conoscesse abbastanza l'italiano da sapere in quali casi il ci-acca italiano si pronunci que o k. A questa domanda il vecchio Maestro espettorò con massima bizzarra stizza.
Io non ho mai avuto la medesima percezione.
Heinrich, Harry, Henry – tutti questi nomi suonano bene quando vengono emessi da belle labbra. Naturalmente, meglio di tutti suona "Signor Enrico". Così mi chiamavo nelle notti estive azzurre impreziosite da grandi stelle d'argento di quel nobile e sventurato paese che è il paese natale della bellezza e ha prodotto Raffaello, Gioachino Rossini e la principessa Cristina Trivulzio di Belgiojoso.
Siccome il mio stato fisico mi toglie ogni minima speranza di rivivere in società, e la società in realtà per me non esiste più, mi sono liberato dalle pastoie della vanità che affligge chiunque, tra gli uomini, si trovi a vagare nel cosiddetto mondo.
 
Cfr., volendo.
Chérubini, sempre volendo.

domenica 7 ottobre 2012

Dizionario di tutte 'e cose: E come Evoluzioni

Mania del nuovo. Dice che il nuovo è meglio del nonnuovo: e perché mai? Io sto con ciò che è evolutivo cioè nuovo e anche vecchio; sono darwiniano. Attingo nella roba del maestro delle origini come a una fontana. È un balsamo quella prosa prudente, quel pensare lento lento, quel coraggio senza iattanza... Rileggo tutto ogni due o tre anni.

15 luglio 1968

Luigi Meneghello, Le carte. Materiali manoscritti inediti 1963-1989, trascritti e ripuliti nei tardi anni Novanta. Volume I: anni Sessanta, BUR Rizzoli, prima edizione digitale 2012

Rileggere Meneghello. Rileggerlo grazie ad una liseuse - il libro è maschio, ma il dispositivo per leggere quello elettronico è una lettrice, in francese: una complementarità casuale, ma ben riuscita, per una volta.
Ho aspettato diversi anni, prima di perpetrare quello che a tutti gli effetti è un tradimento, considerata la mia attitudine rispetto ai libri tradizionali, nei confronti dei quali l'affetto e l'attaccamento continuano a sgorgare come acqua di fonte non solo perché contengono parole, i mattoni del mondo, alla pari di atomi e numeri, ma anche perché i mattoni sono legati tra loro con la malta del tatto (meglio se la carta è almeno leggermente scabra, non come quella liscia e patinata di molti testi di chimica o geografia o fotografia, fisicamente insopportabile), dell'odorato e del fruscio delle pagine (preferenze assolute: odore di fieno e rumore di una leggera risacca), e ho aspettato qualche mese, prima di scriverci queste righe.
Non so come evolverà il mio rapporto col libro in futuro. So, al momento, che in questi mesi, di libri di carta, ne ho comprati pochissimi e che, contrariamente ai miei timori iniziali, l'aggiunta di un nuovo mezzo di accesso alla lettura non ha alterato il mio rimestare roba vecchia, trapassata e vetusta e non mi ha avvicinato a nuove edizioni più di quanto non fosse mia abitudine prima, anzi: vi ho caricato tutto Benjamin e alcuni testi delle sue fonti ottocentesche, quasi tutto Kafka, un numero imprecisato di poesie classiche, un Nello Rosselli su Pisacane che non conoscevo per niente, un Marx di cui ancora non mi capacito come possa aver vissuto finora senza (il 18 brumaio!), diversi testi su Istanbul, il cui incontro diretto, pur importante, è troppo recente per cui mi possa sentire di scriverne, un Andrés Neuman, un Noiriel su immigrazione, antisemitismo e razzismo, un Isnenghi, un T.S. Hamerow, un Complete Danish per marchiare a fuoco la mia prima visita di Copenhagen, diversi PDF che avevo accumulato nel tempo infrattandoli a caso nei meandri di un disco fisso sempre molto disordinato, qualche giornale di tanto in tanto, e, ovviamente, in ordine crescente di importanza, On the origin of species, Decameron e Pinocchio. Nessuna traccia ancora di Borges e Musil, il che mi induce a pensare che, ormai integrati o, più probabilmente, smarriti, nella mia memoria, non desiderino esserne estratti o rievocati, almeno non da me.
Mi ha dato un'emozione particolare, che in parte è riuscita ad attenuare i profondi sensi di colpa, partire proprio da Pinocchio. Se il primo passo doveva essere fondamentale per avviare il cambiamento - così mi sono detta al primo collegamento; mi sembrava che un primo passo sbagliato avrebbe potuto compromettere irrimediabilmente tutto il cammino futuro -, ci ho messo un attimo ad optare per Pinocchio, come primo testo, così come un attimo deve aver messo mia madre in un giorno di dicembre del 1975, entrando nella libreria Mondadori di piazza Goldoni, a Trieste, per prendermi un volume di Pinocchio che reca ancora la sua dedica e che, come molti altri, non mi ha seguito fisicamente nei miei spostamenti, ma in realtà non mi ha mai abbandonato, perché rappresenta, idealmente e concretamente, il mio primo libro. Ripensandoci, sempre grazie a lui, una cosa su Istanbul posso dirla senza tema di esprimermi troppo presto, prima che l'esperienza si sia sedimentata a sufficienza. Si tratta di un dettaglio minimo, eppur rivelatore, meglio di quanto facciano alcuni testi di storia compilativi e senza anima, dei rapporti tra Bisanzio e Venezia, e si tratta allo stesso tempo di un minuscolo segno di pervicace resistenza da parte di alcune parole alla riforma radicale di Atatürk (certe parole hanno volontà propria), che molte parole di origine straniera, a cominciare da quelle di origine persiana, bandì per decreto: sfogliando in una libreria una traduzione in turco di Pinocchio (eh), ho scoperto che falegname si dice marangoz, dal veneziano marangon. Un momento di gioia indimenticabile.
L'uso sociale in senso informatico che ne faccio è limitatissimo: al momento, mi limito a condividere una lista di libri desiderati solo con una persona, mentre registro che mi ostino a non dare valutazioni in forma di sequenze di stellette e a non fornire alcun commento, quando arrivo all'ultima pagina e mi si sollecita a farlo. L'ultima pagina è così diventata all'improvviso fonte di ansia, purtroppo, proprio per questa funzione di cui farei volentieri a meno, se riuscissi a sopprimerla.
Solo due, direi, le lamentele principali, la questione del tatto-odorato-udito e quella della vista di caratteri tipografici sempre uguali essendo largamente compensate dal vantaggio di non dover più pensare un'ora a quali libri portarmi dietro, quando esco di casa o parto, e quella dell'ansia da fine essendo abbastanza facilmente superabile respirando a fondo per tempo: in Europa non si ha (ancora) accesso alle biblioteche e non si possono dare od ottenere in prestito i libri dagli amici.
Come si vede, è una Wende e al tempo stesso non lo è e chi decreta la fine del libro, come nel 1989 qualcuno pensò di fare con la fine della storia, è un mona.

sabato 6 ottobre 2012

Zgodilo se je 19. Marca ob 18:20h

Za Šentjanžom je utonilo sonce

Nad Strunjan
se tiho spuščal
je večer.
Vrhovi
so bili obsijani,
še vedno v soncu,
Ronek je žarel;
a vendar že
k počitku
čas je vabil.

Bil kraj je poln
vonja sveže zemlje...
z bregov
pozdravljal
je vašcane
mandljev cvet.
V zraku so še
lastovice cvrkutale
in preko Stjuže
tam nad morjem -
videl sem galebov let.

Pod murvo,
ob kraj proge,
je k igri
bila zbrana
vaška otročad.
A že so matere
domov klicale -
in nekaj
se jih je odzvalo;
ostali so
večerni vlak čakali.

Ta dan
ni bilo nič svetlih lic
za okni vlaka,
bila je tam
le zlobna smrt
v črni fašije
iz Trsta.
Strunjan,
da bi uporni strli,
v otroke
so orožje uprli.

Tedaj Renatu Brajku
je življenje ugasnilo...
» joj mama,
jaz umiram «
v bolečini je medlel
Bartole Domeniko...
Otroku
čelo je bledelo,
z otrokom
sem še jaz
venel.

Še troje otrok
v bolečini
svojo mater
je klicalo...
Bilo je zlo rojeno,
bilo sovraštvo
je vsajeno,
da zagorel je Ronek-
z njim vsa Istra...
Takrát nam sonce
je utonílo za Šentjanžom.

Božidar Tvrdy
Grazie a questo sito per la foto della stazione di Strunjan e per la traduzione in inglese della poesia

Tratto della ferrovia Parenzana/Porečanka


Accadde il 19 marzo (1921) alle 18:20

A Šentjanz il sole annegò

Sopra Strunjan
la sera
scendeva tranquilla.
Le cime
risplendevano
al calar del sole,
il Ronek si illuminava;
ma il tempo
ci invitava
al riposo.

Il luogo spandeva
profumo di terra fresca...
dai pendii
i fiori di mandorlo
salutavano
gli abitanti del paese.

Nell'aria
garrivano le rondini
e su Stjuža
laggiù sopra il mare -
vedevo gabbiani volare.

Sotto un gelso,
a fianco della ferrovia,
dei bambini del paese
si erano riuniti
per giocare.
Le madri li avevano
già chiamati a casa -
e alcuni
al richiamo avevano risposto,
ma altri erano rimasti
ad aspettare il treno della sera.

Quel giorno
nessuna faccia amica
dietro i finestrini del treno,
ma solo
la morte orribile
di neri fascisti
in arrivo da Trieste.
Strunjan:
per schiacciare i ribelli,
puntarono
le armi sui bambini.

Per Renato Brajko
la vita si fermò...
»Ah mamma,
sto morendo«
sopraffatto dal dolore
Domeniko Bartole...
Il viso del bambino
impallidì,
assieme al bambino
cominciai a svanire
anch'io.

Altri tre bambini
in preda al dolore
chiamavano
la mamma...
Nacque il male,
fu piantato
l'odio,
così bruciò il Ronek -
e con esso tutta l'Istria...
Fu allora fu che il nostro sole
annegò a Šentjanz.

Ronek e Šentjanz sono colline sopra Strunjan/Strugnano.
Due bambini furono uccisi, tre rimasero feriti e due rimasero invalidi.

giovedì 4 ottobre 2012

Bumerang

War einmal ein Bumerang;
War ein Weniges zu lang.
Bumerang flog ein Stück,
Aber kam nicht mehr zurück.
Publikum­ - noch stundenlang ­-
Wartete auf Bumerang.

Joachim Ringelnatz


Boomerang

Era una volta un boomerang;
era lungo fino a Pyongyang.
Boomerang volò per un po',
ma indietro più non tornò.
Pubblico fiducioso tutto attorno
di boomerang aspettò il ritorno.


Non è questione di rime, che pur hanno il loro peso. È soprattutto quello che manca, quello che non c'è, che qui conta, e il suo contribuire, passo imperfetto dopo passo imperfetto, a perfezionare una serie di metamorfosi che hanno luogo nello spazio di sei miseri versi, o almeno così a me pare dopo avere provato ad infilarmici dentro, a rivoltarli e a trasportarli di qualche grado di latitudine più a sud: la sparizione di articoli, pronomi e/o aggettivi dimostrativi ((C')era una volta un boomerang. (Esso) era un po' troppo lungo. (Questo/Il) boomerang volò per un tratto) trasforma un boomerang quasi in una persona, un uomo di nome Boomerang, cui seguono la comparsa improvvisa de (il) pubblico quando ci si aspetterebbe ancora e sempre (il) boomerang, la perdita del senso della realtà negli astanti, che invano attendono per ore ed ore in un modo che è fin troppo facile immaginare muto e stupefatto, la mutazione dello spazio coperto dal volo in un'attesa, e quindi in tempo, fino alla scomparsa del lettore, che si fa pubblico, quando arriva il punto finale. Ecco, siamo noi, ora, ad aspettare. 
Passando a cose serie, io un giorno li faccio incontrare, Ringelnatz e Ragazzoni.

mercoledì 3 ottobre 2012

Dizionario di tutte 'e cose: R come Ricerca scientifica, M (al solito) come Memoria

Così, mentre inizia la sua ricerca scientifica, che mai abbandonerà nella vita, avvia un’altra ricerca fondamentale, anch’essa destinata ad appassionarlo sempre, quella della verità dell’uomo ed innanzi tutto di sé. Anche l’ambito dei suoi studi, sempre più orientati verso le frontiere della psicologia (di cui fonderà il primo laboratorio italiano), va ricondotto al suo interesse per l’uomo, considerato nella sua misteriosa unità fisica e spirituale.
[...]
La passione per la ricerca caratterizzerà tutta la vita di Gemelli e lo porterà a cercare sempre il confronto delle idee, delle esperienze, delle concezioni, accostando senza preclusioni uomini diversamente schierati.
[...]
Le sue opere sono il frutto della convinzione profonda che il metodo empirico della scienza e una fede solida possono arricchirsi a vicenda nella prospettiva di uno sviluppo autenticamente umano e coerente con la grande tradizione della Chiesa. 
[...]
Padre Agostino Gemelli si spegne il 15 luglio 1959, senza poter vedere la realizzazione della sua ultima grande fatica per la cultura scientifica in Italia. Il suo funerale è celebrato nel Duomo di Milano dall’arcivescovo Giovanni Battista Montini, con un concorso memorabile di autorità, di studiosi e di popolo.

Ritratto di Agostino Gemelli, sito dell'Università Cattolica del Sacro Cuore, 3 ottobre 2012

*

La sede di Piacenza dell’Università Cattolica aveva avviato un particolare progetto per celebrare, lo scorso anno, la ricorrenza del 50° del dies natalis di padre Agostino Gemelli, fondatore e primo rettore dell’ateneo del Sacro Cuore.

In occasione dell’anniversario si sono messi in luce, con una mostra, alcuni aspetti ancora poco noti della sua eclettica personalità, con l’intento di valorizzare la sua immagine nei confronti di un vasto pubblico, soprattutto di giovani, che ormai solo in numero limitato ne conoscono vita e opere.

Con un’apposita iniziativa si puntava anche a sottolineare una peculiarità del fondatore della Cattolica certamente di grande impatto: quella di essere stato “rettore aviatore”. Per questo motivo era stata prevista la collocazione davanti all’edificio della facoltà di Scienze della formazione, di un aviogetto, simbolico omaggio dell’Aeronautica Militare a padre Gemelli.

Per una serie di contrattempi, dovuti alla predisposizione del velivolo e al suo trasporto, l’operazione è stata portata a termine solo in questi giorni.

La definitiva sistemazione sarà completata con una targa(1), che ricorderà padre Gemelli, pilota di aeroplano, pioniere degli studi di medicina aeronautica, insignito per i suoi meriti scientifici del grado di colonnello del ruolo d’onore del corpo sanitario aeronautico.

Il fondatore della Cattolica, medico e scienziato, dopo essersi occupato della selezione dei piloti nel corso della prima guerra mondiale, si era dedicato tra i primi al mondo alla psicofisiologia dell’uomo in volo ed aveva avuto, nel 1937, la direzione di uno dei tre “Centri Studi e Ricerche di Medicina Aeronautica” costituiti in Italia. Per le sue ricerche scientifiche si era immedesimato a tal punto nel ruolo degli aviatori da voler acquisire, nel luglio 1939, a 61 anni, il brevetto di pilotaggio.

Nel 1941 aveva pubblicato, assieme ad Arturo Monaco e a Rodolfo Margaria, un ponderoso trattato di medicina aeronautica che ebbe un lusinghiero consenso scientifico nel mondo intero.

La statua(2) di padre Gemelli, con il saio francescano e il caschetto da pilota, posta nell’atrio del Centro Sperimentale Volo dell’Aeronautica Militare a Pratica di Mare, lo ricorda a quanti oggi in Italia compiono gli studi più avanzati di medicina aeronautica.

L’aviogetto, collocato nella sede di Piacenza della sua università ha proprio le insegne del Reparto Sperimentale Volo e intende ricordare il fondatore della Cattolica a giovani e a meno giovani per una eccezionale particolarità, quella di essere stato “scienziato e aviatore tra gli aviatori”.

Un aereo per Padre Gemelli, Cattolica News, 22 aprile 2010

(1) Posata sul basamento dell’aereo dell’Aeronautica Militare in occasione dell'inaugurazione della Residenza Prof.ssa Aurelia Gasparini, via dell'Anselma 9, Piacenza, 22 ottobre 2011, ore 11.15.

(2) Scoperta ufficialmente nel 1964 dall’allora ministro della Difesa Giulio Andreotti, è per le presenti e future generazioni il segno della sua grande e indimenticabile opera - Il pioniere della medicina aeronautica, Cattolica News, 13 maggio 2009


*

Essi, per lo più intelligenti, colti, sanno maneggiare bene il fucile, ma la loro preparazione spirituale non può che essere incompleta. Invece gli atti di valore sono compiuti più di frequente da quei soldati che, venuti dalle campagne, rozzi, ignoranti, passivi, hanno subito (questa è la parola) tutta intera, e per parecchi mesi, l'influenza della vita militare, senza ribellione, senza resistenza. [...] Può sorprendere che uno di questi soldatini sappia compiere cose meravigliose; la loro semplicità d'animo sembra costituire un anacronismo: eppure essa è la migliore condizione perché si abbia la formazione di un animo capace di alto valore.

Agostino Gemelli, Il nostro soldato. Saggi di psicologia militare, Treves, Milano, 1917

*

Un ebreo, professore di scuole medie, gran filosofo, grande socialista, Felice Momigliano, è morto suicida. I giornalisti senza spina dorsale hanno scritto necrologi piagnucolosi. Qualcuno ha accennato che era rettore dell’Università Mazziniana [...]. Ma se insieme con il Positivismo, il Socialismo, il Libero Pensiero e con il Momigliano morissero i Giudei che continuano l’opera dei Giudei che hanno crocifisso Nostro Signore, non è vero che al mondo si starebbe meglio? Sarebbe una liberazione ancora più completa se, prima di morire, pentiti, domandassero l’acqua del Battesimo.

Agostino Gemelli, Vita e pensiero, 5 agosto 1924