venerdì 28 settembre 2012

Sì TAV

Non si potrà negare che, nel quotidiano, ci sono parecchie cose che non si vedrebbe l'ora di fare: tornare a casa dopo una lunga assenza o partire da un luogo divenuto intollerabile, riguadagnare una libertà perduta o conquistarne una solo fantasticata e mai assaporata, rivedere il proprio amore se si trova distante, cose così. In questi casi, si vorrebbe imprimere un'accelerazione e viaggiare veloci o addirittura che il tempo stesso accelerasse o, il che è lo stesso, che la distanza dalla meta agognata si annullasse in un attimo.
Quando ci si sposta sul piano ideale, però, a parte notevoli eccezioni, per lo più confinate alla sfera di avanguardie che ormai datano più di un secolo ma che soprattutto si sono eccessivamente compromesse con ideologie, per i più, anche se non proprio per tutti, impresentabili, le menti più colte e raffinate elogiano la lentezza (e la leggerezza: sono temi frequentemente trattati in parallelo), e lo fanno tout court, come se fosse un valore assoluto, come la libertà o la giustizia. Non ho grandi problemi a comprenderlo e, in parte, a condividerlo, l'elogio della lentezza (e della leggerezza). Solo in parte, però. Preferisco in effetti un approccio più pragmatico, per mera convenienza personale: se mi manca casa, vorrei ritornarci il prima possibile, se l'amore è lontano, vorrei rivederlo il prima possibile, nel momento stesso in cui vi penso, ecc., mi pare più che ovvio.
D'altra parte, mi pare anche che assieme ad antipolitica, casta, corruzione, crisi, disoccupazione, emergenza, euro, populismo, scandalo, spread, tagli, tragedia (in ordine alfabetico), le parole più usate al momento in Italia, ma anche a livello europeo, siano: adesso e subito, qualche volta, nella variante italiana, accompagnate dal segno di interpunzione più odioso che io conosca. Niente di quello che si vuole adesso o subito, però, viene realizzato, neanche una legge elettorale nazionale appena appena più equa e cristallina di quella attuale, neanche una Costituzione europea condivisa da tutti i paesi membri dell'unione, neanche un passo verso una politica fiscale comune o un significativo intervento per cominciare a ridurre i debiti nazionali di alcuni paesi senza creare ulteriori disuguaglianze ed ingiustizie sociali. Non ci sono le condizioni, si ergono ostacoli insormontabili o si interpongono i poteri forti oppure, ma solo nella variante italiana, la liquefazione del sangue di san Gennaro si rivela essere stata poi non così completa come inizialmente era sembrato. 
Non è sempre stato così, nemmeno in Italia. Alla capitolazione della Repubblica Romana, proprio nei suoi istanti di vita finali, il 3 luglio 1849, mentre Pio IX continuava a lanciare scomuniche sui repubblicani dalla fortezza di Gaeta, mentre i Borboni scorrazzavano nell'Italia centrale (pur evitando di dirigersi a Roma, per non scornarsi con i francesi, se ho ben capito), mentre Garibaldi era già partito da Roma alla volta di Venezia nel vano tentativo di prestarle aiuto contro gli austriaci, mentre gli austriaci si erano già introdotti in Toscana e nelle Marche e mentre i francesi completavano l'occupazione di Roma tanto che se ne sentivano le voci letteralmente alla porta di casa, anzi, con i francesi in procinto di entrare nella sala in cui era riunita, l'Assemblea Costituente della Repubblica, imperturbabile, votava ed approvava la Costituzione.
Velocemente.
Toc toc !
Mentre la Repubblica stava per morire.
Toc toc :  on y est !
Rapidamente, proprio.
Toc toc: ouvrez !
Senza neanche un errore di ornografia.
Toc toc: ouvrez la porte !
Ed includendo, in tutta fretta, forse proprio per eccesso di velocità, quello che, all'art. 17, mi sembra avere tutte le caratteristiche del primo suffragio universale previsto nella penisola italiana.
Ouf. Nous voilà.

martedì 25 settembre 2012

Altneu-Synagoge gestern

1. Oktober. Altneu-Synagoge gestern. Kol Nidre. Gedämpftes Börsengemurmel. Im Vorraum Büchse mit der Aufschrift: »Milde Gaben im stillen besänftigen den Unwillen.« Kirchenmäßiges Innere. Drei fromme, offenbar östliche Juden. In Socken. Über das Gebetbuch gebeugt, den Gebetmantel über den Kopf gezogen, möglichst klein geworden. Zwei weinen, nur vom Feiertag gerührt? Einer hat vielleicht nur wehe Augen, an die er das noch gefaltete Sacktuch flüchtig legt, um das Gesicht gleich wieder nahe an den Text zu halten. Nicht eigentlich oder hauptsächlich wird das Wort gesungen, aber hinter dem Wort her werden Arabesken gezogen aus dem haardünn weitergesponnenen Wort. Der kleine Junge, der ohne die geringste Vorstellung des Ganzen und ohne Orientierungsmöglichkeit, den Lärm in den Ohren, sich zwischen den gedrängten Leuten hinschiebt und geschoben wird. Der scheinbare Kommis, der sich beim Beten rasch schüttelt, was nur als Versuch einer möglichst starken, wenn auch vielleicht unverständlichen Betonung jedes Wortes zu verstehen ist, wobei die Stimme geschont wird, die überdies in dem Lärm eine klare große Betonung nicht zustande brächte. Die Familie des Bordellbesitzers. In der Pinkassynagoge war ich unvergleichlich stärker vom Judentum hergenommen.
Im B. Šuha vorvorgestern. Die eine, Jüdin mit schmalem Gesicht, besser: das in ein schmales Kinn verläuft, aber von einer ausgedehnt welligen Frisur ins Breite geschüttelt wird. Die drei kleinen Türen, die aus dem Innern des Gebäudes in den Salon fuhren. Die Gäste wie in einer Wachtstube auf der Bühne. Getränke auf dem Tisch werden ja kaum angerührt. Die Flachgesichtige im eckigen Kleid, das erst tief unten in einem Saum sich zu bewegen anfängt. Einige hier angezogen wie die Marionetten für Kindertheater, wie man sie auf dem Christmarkt verkauft, das heißt mit Rüschen und Gold beklebt und lose benäht, so daß man sie mit einem Zug abtrennen kann und daß sie einem dann in den Fingern zerfallen. Die Wirtin mit dem mattblonden, aber zweifellos ekelhaften Unterlagen straff gezogenen Haar, mit der scharf niedergehenden Nase, deren Richtung in irgendeiner geometrischen Beziehung zu den hängenden Brüsten und dem steifgehaltenen Bauch steht, klagt über Kopfschmerzen, die dadurch verursacht sind, daß heute, Samstag, ein so großer Rummel und nichts daran ist.
Zu Kubin: Die Geschichte von Hamsun ist verdächtig. Solche Geschichten könnte man aus seinen Werken zu Tausenden als erlebt erzählen.
Zu Goethe: »Erregte Ideen« sind bloß die Ideen, die der Rheinfall erregt. Man sieht das aus einem Brief an Schiller. – Die vereinzelte Augenblicksbeobachtung »Kastagnettenrhythmus der Kinder in Holzschuhen« hat eine solche Wirkung gemacht, ist so allgemein angenommen, daß es undenkbar ist, daß jemand, wenn er auch diese Bemerkung niemals gelesen hätte, diese Beobachtung als eigene Originalidee fühlen könnte.

Kafka, Tagebücher, 1. Oktober 1911


1° ottobre. Sinagoga Staronová, ieri. Kol Nidré. Attenuato vocio da borsa. Nell'antisala, bossolo per la questua con la scritta: »Modeste offerte in silenzio placano l'indignazione.« Interno similchiesa. Tre ebrei devoti, evidentemente orientali. In calze. Chini sul libro delle preghiere, lo scialle per la preghiera tirato sulla testa, rimpicciolitisi al massimo. Due piangono, commossi solo dal giorno di festa? Uno ha forse solo gli occhi doloranti, su cui si passa velocemente il fazzoletto senza spiegarlo, per poi riavvicinare subito il viso al testo. La parola non è in realtà cantata, o almeno non principalmente, ma dopo la parola si traggono arabeschi dalla parola filata di continuo, della finezza di un capello. Il ragazzo che, senza la minima idea dell'insieme e senza possibilità di orientarsi, con il rumore nelle orecchie che si ritrova, si infila tra la folla gremita ed è spinto a destra e a sinistra. Quello che sembra un commesso, che pregando si agita molto, il che va inteso solo come un tentativo di accentuare il più possibile, per quanto forse in modo incomprensibile, l'intonazione di ogni parola, risparmiando la voce, che fra l'altro in quel rumore non ce la farebbe mai a raggiungere una chiara e forte intonazione. La famiglia del proprietario del bordello. Nella sinagoga Pinkas ero preso dall'ebraismo in modo incomparabilmente più forte.
Nel b. (bordello, ndt) Šuha, due giorni fa. Una, ebrea dal viso sottile o, meglio, che finisce con un mento sottile, per quanto scosso da una larga pettinatura ad onde, che lo allarga. Le tre piccole porte, che dall'interno dell'edificio danno nel salone. Gli ospiti come in un corpo di guardia sul palcoscenico. Delle bevande sul tavolo vengono a malapena toccate. Quella dal viso piatto nell'abito squadrato, che si comincia a muovere appena in fondo, all'altezza dell'orlo. Alcune, qui, vestite come le marionette per il teatro per bambini, come quelle che si comprano al mercatino di Natale, cioè con attaccati froufrous e oro, cuciti con qualche punto appena, in modo da poterli togliere, tirandoli, e da disfarli tra le dita. La tenutaria dai capelli biondo opaco, ma senza dubbio ributtanti, tirati su, appiccicati, con il naso decisamente pendente in giù, la cui direzione si trova in un qualche rapporto geometrico con i seni penduli e con la pancia tirata, si lamenta per i dolori alla testa causati dal fatto che oggi, sabato, c'è tanto casino ma non se ne cava niente.
Per quanto riguarda Kubin: la storia di Hamsun è sospetta. Di tali storie se ne potrebbero raccontare a migliaia, dalle sue opere, come se fossero vissute.
Per quanto riguarda Goethe: »Idee agitate« sono solo le idee che la cascata del Reno agita. Lo si vede da una lettera a Schiller. – L'isolata osservazione dell'attimo »ritmo di nacchere dei bambini con gli zoccoli« ha sortito un tale effetto, è diventata così generale, che è inconcepibile che qualcuno, anche se non avesse mai letto questa osservazione, la possa percepire come una propria idea originale.

domenica 23 settembre 2012

Las moscas

Hay tres temas: el amor, la muerte y las moscas. Desde que el hombre existe, ese sentimiento, ese temor, esas presencias lo han acompañado siempre. Traten otros los dos primeros. Yo me ocupo de las moscas, que son mejores que los hombres, pero no que las mujeres.

Hace años tuve la idea de reunir una antología universal de la mosca. La sigo teniendo. Sin embargo, pronto me di cuenta de que era una empresa prácticamente infinita. La mosca invade todas las literaturas y, claro, donde uno pone el ojo encuentra la mosca.

No hay verdadero escritor que en su oportunidad no le haya dedicado un poema, una página, un párrafo, una línea; y si eres escritor y no lo has hecho te aconsejo que sigas mi ejemplo y corras a hacerlo; las moscas son Euménides, Erinias; son castigadoras. Son las vengadoras de no sabemos qué; pero tú sabes que alguna vez te han perseguido y, en cuanto lo sabes, que te perseguirán para siempre.

Ellas vigilan. Son las vicarias de alguien innombrable, buenísimo o maligno. Te exigen. Te siguen. Te observan. Cuando finalmente mueras es probable, y triste, que baste una mosca para llevar quién puede decir a dónde tu pobre alma distraída. Las moscas transportan, heredándose infinitamente la carga, las almas de nuestros muertos, de nuestros antepasados, que así continúan cerca de nosotros, acompañándonos, empeñados en protegernos. Nuestras pequeñas almas transmigan a través de ellas y ellas acumulan sabiduría y conocen todo lo que nosotros no nos atrevemos a conocer. Quizá el último transmisor de nuestra torpe cultura occidental sea el cuerpo de esa mosca, que ha venido reproduciéndose sin enriquerecerse a lo largo de los siglos. Y, bien mirada, creo que dijo Milla (autor que por supuesto desconoces pero que gracias a haberse ocupado de la mosca oyes mencionar hoy por primera vez), la mosca no es tan fea como a primera vista parece. Pero es que a primera vista no parece fea, precisamente porque nadie ha visto nunca una mosca a primera vista. A nadie se le ha ocurrido preguntarse si la mosca fue antes o después.

En el principio fue la mosca. (Era casi imposible que no apareciera aquí eso de que en el principio fue la mosca o cualquier otra cosa. De esas frases vivimos. Frases mosca que, como los dolores mosca, no significan nada. Las frases perseguidoras de que están llenas nuestros libros.) Olvídalo. Es más fácil que una mosca se pare en la nariz del papa que el papa se pare en la nariz de una mosca. El papa, o el rey o el presidente (el presidente de la república, claro; el presidente de una compañía financiera o comercial o de productos equis es por lo general tan necio que se considera superior a ellas) son incapaces de llamar a su guardia suiza o a su guardia real o a sus guardias presidenciales para exterminar una mosca. Al contrario, son tolerantes y, cuando más, se rascan la nariz. Saben. Y saben que también la mosca sabe y los vigila; saben que lo que en realidad tenemos son moscas de la guarda que nos cuidan a toda hora de caer en pecados auténticos, grandes, para los cuales se necesitan ángeles de la guarda de verdad que de pronto se descuiden y se vuelvan cómplices, como el ángel de la guarda de Hitler, o como el de Johnson. Pero no hay que hacer caso. Vuelve a las narices. La mosca que se posó en la tuya es descendiente directa de la que se paró en la de Cleopatra. Y una vez más caes en las alusiones retóricas prefabricadas que todo el mundo ha hecho antes. Pues a pesar tuyo haces literatura. La mosca quiere que la envuelvas en esa atmósfera de reyes, papas y emperadores. Y lo logra. Te domina. No puedes hablar de ella sin sentirte inclinado hacia la grandeza. Oh, Melville, tenías que recorrer los mares para instalar al fin esa gran ballena blanca sobre tu escritorio de Pittsfield, Massachussetts, sin darte cuenta de que el Mal revoleteaba desde mucho antes alrededor de tu helado de fresa en las calurosas tardes de niñez y, pasados los años, sobre ti mismo cuando en el crepúsculo te arrancabas uno que otro pelo de la barba dorada leyendo a Cervantes y puliendo tu estilo; y no necesariamente en aquella enormidad informe de huesos y esperma incapaz de hacer mal alguno sino a quien interrumpiera su siesta, como el loquito Ahab, ¿Y Poe y su cuervo? Ridículo. Tú mira la mosca. Observa. Piensa.

Augusto Monterroso, Movimiento perpetuo, 1972


Ci sono tre temi: l'amore, la morte e le mosche. Da quando l'uomo esiste, questo sentimento, questo timore, queste presenze lo hanno sempre accompagnato. Trattino gli altri i primi due, io mi occupo delle mosche, che sono migliori degli uomini, però non delle donne.

Anni fa mi venne l'idea di comporre un'antologia universale della mosca. La continuo a sviluppare. Tuttavia, mi resi subito conto che era un'impresa praticamente infinita. La mosca invade tutte le letterature e, chiaramente, ovunque posi lo sguardo, l'occhio incontra una mosca.

Non esiste vero scrittore che, all'occasione, non le abbia dedicato una poesia, una pagina, un paragrafo, una riga; e se sei uno scrittore e non l'hai fatto, ti consiglio di seguire il mio esempio e di affrettarti a farlo; le mosche sono Eumenidi, Erinni, sono castigatrici. Sono le vendicatrici di non sappiamo che; però tu sai che qualche volta ti hanno perseguitato e, per quanto tu sappia, ti perseguiteranno per sempre.

Loro vigilano. Sono le vicarie di qualcosa di innominabile, benevolo o maligno. Ti esigono. Ti seguono. Ti osservano. Quando alla fine morirai, è probabile, e triste, che basterà una mosca per portare via - chissà dove - la tua povera anima distratta. Le mosche trasportano, ereditando all'infinito questo compito, le anime dei nostri morti, dei nostri antenati, che così continuano a cercarci, accompagnandoci, impegnati a proteggerci. Le nostre piccole anime trasmigrano attraverso le mosche e queste accumulano saggezza e conoscono tutto quello che noi non osiamo nemmeno conoscere. Forse l'ultimo trasmettitore della nostra stanca cultura occidentale sarà il corpo di questa mosca, che si è riprodotta senza arricchirsi nel corso dei secoli. E, a ben guardare, credo che sia stato Milla (autore che sicuramente non conosci, ma che per il fatto che si è occupato di mosche senti nominare oggi per la prima volta) ad aver detto che la mosca non è tanto brutta come sembra a prima vista. Ma a prima vista non sembra brutta proprio perché nessuno ha mai visto una mosca a prima vista. A nessuno è capitato di chiedersi se la mosca fu prima o dopo.

In principio era la mosca. (Era quasi impossibile che non apparisse qui questo, che in principio era la mosca o qualche altra cosa. Di queste frasi viviamo. Frasi mosca che, come i dolori mosca, non significano nulla. Le frasi ossessionanti di cui traboccano i nostri libri.) Dimenticalo. È più facile che una mosca vada a finire sul naso del papa che il papa vada a finire sul naso di una mosca. Il papa, o il re o il presidente (il presidente della repubblica, chiaro, ché il presidente di una azienda finanziaria o commerciale o manifatturiera è in generale talmente stupido che si considera superiore a loro) sono incapaci di chiamare la loro guardia svizzera o la loro guardia reale o le loro guardie presidenziali per sterminare una mosca. Al contrario, sono tolleranti e, in più, si grattano il naso. Sanno. E sanno anche anche la mosca sa e li sorveglia;  sanno che quello che in realtà abbiamo sono mosche custodi che tutto il tempo badano a non farci cadere in peccati autentici, grandi, per i quali avremmo bisogno di veri angeli custodi che improvvisamente si distraggono e si trasformano in complici, come l'angelo custode di Hitler, o come quello di Johnson. Però non bisogna farci caso. Torniamo al naso. La mosca che si posò sul tuo è discendente diretta di quella che andò a finire su quello di Cleopatra. E ancora una volta ricadi sulle allusioni retoriche prefabbricate che tutti hanno fatto prima. Allora, tuo malgrado, fai letteratura. La mosca desidera che tu la avvolga in questa atmosfera di re, papi ed imperatori. E ci riesce. Ti domina. Non puoi parlare di lei senza sentirti incline alla grandezza. Oh, Melville, dovevi attraversare i mari per piazzare infine questa grande balena bianca sulla tua scrivania di Pittsfield, Massachussetts, senza accorgerti che il Male volteggiava da molto prima attorno al tuo gelato alla fragola nei caldi pomeriggi della tua infanzia e, passati gli anni, su te stesso quando all'imbrunire ti accarezzavi i peli della barba dorata leggendo Cervantes e affinando il tuo stile; e non necessariamente in quella enormità informe di ossa e sperma incapace di fare male ad alcuno finché qualcuno interrompeva la sua pennichella, come quello scemo di Ahab. E Poe e il suo corvo? Ridicolo. Tu guarda la mosca. Osserva. Pensa.

La fase pre-markuska


La prima fase consistette - e ve ne sono numerosi esempi in altre lingue infantili - nel capovolgere le parole italiane (olleb 'bello', onoub = 'buono" ecc.). Ma ben presto il bambino, non contento di questa banale semplicità, prese a creare un lessico e una morfologia autonomi. Molte radici furono create dalle parole italiane capovolte della primissima fase della lingua (che chiameremo pre-markuska) con deformazioni. Così bello, anziché olleb, si disse lev, buono, anziché onoub, divenne nuv, et similia. Per aumentare le radici senza troppi sforzi di ricerca (il lessico restò per lui infatti sempre la parte meno interessante della lingua) l'inverso del significato di una radice veniva ottenuto preponendole il prefisso en- (trasparentemente derivato dall'italiano ne o dal prefisso in- in infelice ecc.). Tale procedimento, identico a quello dell'esperanto (che tuttavia E.J. mi assicurò di non conoscere al momento della sua invenzione) non era universalmente durchgeführt: così 'cattivo' e 'brutto' era turp (il bambino fu molto soddisfatto quando si accorse che capovolgendo brutto in otturb e, abbreviandolo con le note regole, otteneva un qualcosa come turb/p singolarmente simile all'italiano 'turpe'); solo per precisare, si poteva usare ennuv per cattivo e enlev per brutto. Altre radici hanno una curiosa origine 'storica': così, poiché uno dei suoi compagni di giochi si era messo, come 'imperatore', il nome di Vulkainsh (ma il suo cognome 'normale' era Guerreschi), guerra si disse vulk (ancora con somma soddisfazione del bambino che vi vedeva connessioni semantiche con 'vulcano', 'vulcanico', ecc.).
Il plurale in quella prima fase (che chiameremo proto-markuska) era in -ik, sia per i pronomi sia per i nomi: dai pronomi singolari oj = 'io', ut = 'tu', ig = 'egli', si aveva oik (< ojik, 'noi', utik, 'voi', igik, 'essi'). In seguito, 'per decreto', il plurale dei nomi fu cambiato in -oj, ma i pronomi mantennero l'antico plurale, creandosi così, per gioco e inconsciamente, una doppia declinazione, nominale e pronominale, come in molte lingue vere! Anche altri elementi morfologici mutarono: soprattutto da notare la trasformazione del suffisso aggettivale da -iku in -ska, e la generale trasformazione delle radici della lingua da bisillabiche (in genere con finale vocalica in -u: marku, erru ecc.) in monosillabiche. Anche la sintassi subì dei mutamenti: da praticamente identica all'italiana (non però nella posizione dell'aggettivo e del genitivo che fu sin da tempi 'antichi' del tipo che i linguisti chiamano B-A), acquistò tratti sempre più complessi. Poiché la lingua fu usata anche per la poesia, si sviluppò uno 'stile poetico' molto libero sintatticamente e talora persino con varianti morfologiche rispetto alla lingua, molto più a ordine rigido, della prosa. La lingua venne sviluppandosi insieme al suo autore: una rudimentale storia, delle influenze straniere (parole di lingue europee od orientali studiate dall'inventore man mano che i suoi interessi linguistici si ampliavano), uno stile 'antico' e uno 'moderno' ecc. Poiché ho avuto occasione di studiare a fondo l'inventore di questa lingua, la quale è, senza tema di discussioni, una fra le più originali fra le inventate da fanciulli, penso utile darne una brevissima descrizione e qualche esempio.
[...]
Ma la parte più singolare del markusko è forse la sua sintassi. Sembra quasi che la morfologia agglutinante prediletta dall'autore lo abbia portato quasi insensibilmente a una sintassi ipotattica 'a la turca' partendo da una primitiva sintassi nettamente neolatina, soprattutto nel campo delle proposizioni subordinate. Si confrontino queste due possibilità (paleomarkuska e neomarkuska) di tradurre la frase "io dico che Carlo è venuto"

a) ridoj dazi Karl oendna
b) Karloizuri ridoj

(rid = 'dire'; dna = 'andare'; endna, col prefisso inversivo en- = 'venire', sostituito, in fasi più recenti, dalla radice semplice iz; dazi = 'che', derivato dal tedeco dass). Nello schema b) abbiamo un insieme Karl oiz = "Carlo è venuto" astratizzato dal suffisso -ur, Karloizur = "la venuta del passato di Carlo" e posto all'accusativo (Karloizuri) retto dal verbo ridoj. Più tardi, ad imitazione del turco, in casi analoghi, Karl si pose anche, facoltativamente, al genitivo: Karlo oizuri ridoj = "dico il venire passato di Carlo", restando cioè fuori del composto.

Alessandro Bausani, Le lingue inventate, Ubaldini Editore, Roma 1974, pagg. 26-29
(salvo qualche necessaria virgola, che non sono riuscita a non inserire)



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A chi ha caricato questo testo mettendolo a disposizione dell'universo mondo in possesso di un accesso internet, andrebbe dedicato un monumento. Dico sul serio.

sabato 22 settembre 2012

Auf Wiedersehen in meinem neunten Gefängnis

Wronke, den 20. Juli 1917.

Sonitschka, mein Liebling, da mein Ableben hier sich doch länger hinzieht, als ich ursprünglich annahm, sollen Sie noch einen letzten Gruß aus Wronke kriegen. Wie konnten Sie denken, ich würde Ihnen keine Briefe mehr schreiben! In meiner Gesinnung Ihnen gegenüber hat sich nichts geändert, konnte sich nichts ändern. Ich schrieb nicht, weil ich Sie seit der Abreise von Ebenhausen im Trubel von tausenderlei Dingen wußte, zum Teil wohl auch, weil ich vorübergehend nicht in Stimmung war.
Daß es mit mir nach Breslau geht, wissen Sie wohl schon. Hier habe ich heute früh von meinem Gärtlein Abschied genommen. Das Wetter ist grau, stürmisch und regnerisch, am Himmel jagen zerfetzte Wolken, und doch habe ich meinen üblichen Frühspaziergang heute in vollen Zügen genossen. Ich nahm Abschied von dem gepflasterten, schmalen Weg an der Mauer entlang, auf dem ich nun fast neun Monate hin- und hergelaufen bin, in dem ich nun schon jeden Stein und jedes Unkräutlein, das zwischen den Steinen wächst, genau kenne. An den Pflastersteinen interessieren mich die bunten Farben: rötlich, bläulich, grün, grau. Namentlich in dem langen Winter, der so sehr auf ein bißchen lebendiges Grün warten ließ, haben meine farbenhungrigen Augen sich an den Steinen ein wenig Buntheit und Anregung zu schaffen gesucht. Und jetzt im Sommer erst, da gab es zwischen den Steinen so viel Eigenartiges und Interessantes zu sehen! Hier hausen nämlich massenhaft wilde Bienen und Wespen. Sie bohren zwischen den Steinen nußgroße, runde Löcher und weiter tiefe Gänge hinein, schaffen dabei die Erde von innen an die Oberfläche und schichten sie zu ganz hübschen Häuflein auf. Drinnen legen sie ihre Eier und arbeiten Wachs und wilden Honig; es ist ein beständiges Hineinschlüpfen und Herausfliegen und ich mußte beim Spazierengehen sehr aufpassen, um die unterirdischen Wohnungen nicht zu verschütten. Dann ziehen an mehreren Stellen die Ameisen quer über den Weg gerade ihre Pfade, auf denen sie beständig hin- und herlaufen, so auffallend gradlinig, wie wenn sie den mathematischen Satz im Leibe hätten, daß die gerade Linie die kürzeste Verbindung zwischen zwei Punkten ist (was zum Beispiel primitiven Völkern völlig unbekannt ist). Dann wuchert das üppigste Unkraut an der Mauer; die einen Pflänzlein schon verblüht und in Flocken zerflatternd, die anderen unermüdlich weiter knospend. Dann gibt es eine ganze Generation junger Bäumchen, die in diesem Frühjahr, unter meinen Augen, auf der Erde mitten am Weg oder an der Mauer emporgesprossen sind; eine kleine Akazie, offenbar von einer heruntergefallenen Schote des alten Baumes heuer aufgekeimt. Mehrere kleine Silberpappeln, gleichfalls erst seit Mai auf der Welt, aber schon im üppigen Schmuck weißgrüner Blätter, die sie im Sturme zierlich wiegen, ganz wie die alten. Wievielmal habe ich ihren Weg durchmessen, wie Verschiedenes dabei innerlich erlebt und gedacht! Im strengen Winter, nach frischem Schneefall, habe ich oft erst mit meinen Füßen mir einen Pfad gebahnt, dabei begleitet von meiner geliebten, kleinen Kohlmeise, die ich im Herbst wiederzusehen hoffte und die mich nicht mehr finden wird, wenn sie an den bekannten Futterplatz am Fenster kommt. Im März, als wir mitten unter hartem Frost ein paar Tage Tauwetter kriegten, verwandelte sich mein Weg in ein Flüßchen. Ich weiß noch, wie unter dem lauen Wind sich auf der Wasserfläche kleine Wellchen kräuselten, und die Backsteine der Mauer sich darauf lebhaft und blank spiegelten. Dann kam endlich der Mai und das erste Veilchen an der Mauer, das ich Ihnen schickte.
Wie ich so heute hinüber wanderte, betrachtete und sann, summte mir im Kopf immerzu der Vers von Goethe:
»Merlin der Alte im leuchtenden Grabe
wo ich als Jüngling gesprochen ihn habe ...«
Sie kennen das ja weiter. Das Gedicht stand natürlich in gar keinem Zusammenhang mit meiner Stimmung und dem, was mich innerlich beschäftigte. Es war nur die Musik der Worte und der seltsame Zauber des Gedichtes, was mich in Ruhe wiegte. Ich weiß selbst nicht, woher es kommt, daß ein schönes Gedicht, besonders Goethe, bei jeder starken Erregung oder Erschütterung auf mich so tief einwirkt. Es ist schon fast eine physiologische Wirkung, als wenn ich ein köstliches Getränk mit durstenden Lippen schlürfte, das mich innerlich kühlt und Leib und Seele gesund macht. Das Gedicht aus dem westöstlichen Divan, das Sie in Ihrem letzten Brief erwähnen, kenne ich nicht; schreiben Sie es mir bitte ab. Und noch eins möchte ich seit langem haben, das in meinem hiesigen Goethebändchen fehlt, »Blumengruß«. Das ist ein kleines Gedichtlein von vier bis sechs Zeilen, ich kenne es aus einem Wolffschen Lied, das unbeschreiblich schön ist. Namentlich der Schlußvers, etwa so:
»Ich habe sie gepflücket
In heißer Sehnsuchtsqual,
Ich habe sie ans Herz gedrücket,
Ach, wohl eintausendmal!«
Das klingt in der Musik so heilig, zart und keusch, wie ein Niederknien in stummer Anbetung. Aber ich weiß den Text nicht mehr und möchte ihn haben.
Gestern abend, so um neun, habe ich noch ein herrliches Schauspiel gehabt. Ich bemerkte von meinem Sofa aus in der Fensterscheibe den leuchtenden Reflex einer Rosafarbe, die mich überraschte, da der Himmel ganz grau war. Ich lief zum Fenster und blieb wie gebannt stehen. Auf dem völlig grauen Einerlei des Himmels türmte sich im Osten eine große Wolke von so überirdisch schöner rosa Farbe, so allein für sich losgelöst von allem, daß sie wie ein Lächeln aussah, wie ein Gruß aus unbekannter Ferne. Ich atmete wie befreit auf und streckte unwillkürlich beide Hände dem zauberhaften Bild entgegen. Wenn es solche Farben, solche Formen gibt, dann ist das Leben schön und lebenswert, nicht wahr? Ich sog mich mit den Blicken fest an das leuchtende Bild und verschlang jeden rosigen Strahl aus ihm, bis ich plötzlich selbst über mich auflachen mußte. Herr Gott, der Himmel und die Wolken und die ganze Schönheit des Lebens bleiben doch nicht in Wronke, daß ich von ihnen Abschied zu nehmen brauchte; nein, sie gehen mit mir fort und bleiben mit mir, wo ich auch bin und so lange ich lebe.
Bald berichte ich Ihnen von Breslau, besuchen Sie mich dort, sobald Sie können. Grüßen Sie herzlich Karl.
Ich umarme Sie vielmals. Auf Wiedersehen in meinem neunten Gefängnis.
Ihre treue
Rosa.



Wronke, 20 luglio 1917

Sonitschka, tesoro mio, siccome la mia non vita qui si protrae più di quanto inizialmente immaginassi, deve ricevere ancora un ultimo saluto da Wronke. Come ha potuto mai pensare che non Le avrei più scritto delle lettere! I miei sentimenti nei Suoi confronti non sono cambiati di una virgola, non sono potuti cambiare. Non ho scritto solo perché, fin dalla Sua partenza da Ebenhausen, La sapevo presa da mille faccende, ed in parte anche perché non ero al momento nella giusta disposizione d'animo.
Certamente saprà che mi trasferiscono a Breslau. Qui stamattina ho detto addio al mio giardinetto. Il tempo è grigio, tempestoso e piovoso, nel cielo si rincorrono spezzoni di nuvole, ma ho approfittato lo stesso fino in fondo della mia consueta passeggiata mattutina. Ho anche detto addio allo stretto sentiero selciato che si snoda a fianco del muro, su cui ho passeggiato avanti ed indietro quasi nove mesi e di cui ormai conosco con precisione ogni pietra ed ogni piccola erbaccia che cresce tra le pietre. Delle pietre del selciato mi interessa la varietà dei colori: rossicci, bluetti, verdi, grigi. Specie nel lungo inverno, che ha fatto agognare così tanto un po' di vitale verde, i miei occhi affamati di colori hanno cercato di inventare un po' di varietà cromatiche e stimoli osservando le pietre. E appena ora, in estate, tra quelle pietre si sono rivelate ai miei occhi cose così singolari ed interessanti! Vi abitano infatti colonie di api selvatiche e vespe. Ricavano tra le pietre fori rotondi, grandi come noci e, a partire da questi, profonde gallerie; risalgono poi dal fondo della terra alla superficie e creano, strato dopo strato, dei graziosi mucchietti di terra. Dentro vi depongono le uova e lavorano cera e miele selvatico; è tutto un continuo infilarvisi e volarne via e ho dovuto prestare molta attenzione, camminandovi sopra, per evitare di seppellire le tane sotterranee. Poi, in più punti, il sentiero è attraversato dai percorsi diritti delle formiche, su cui si spostano avanti e indietro senza posa, in modo così vistosamente rettilineo, quasi albergassero nel corpo il teorema matematico secondo cui il percorso più breve tra due punti è quello della retta (cosa che per esempio ai popoli primitivi è del tutto ignota). Poi, lungo il muro, si propagano le erbacce più esuberanti; le une fanno già appassire una piantina e la disintegrano in fiocchi, le altre continuano a sbocciare, instancabili. Poi c'è tutta una generazione di alberelli più giovani, che questa primavera sono spuntati sotto i miei occhi sulla terra, in mezzo al sentiero o lungo il muro; quest'anno germoglia una piccola acacia, evidentemente da un baccello caduto dal vecchio albero. Diversi piccoli pioppi bianchi, poi, anch'essi al mondo appena da maggio, ma già nel rigoglioso ingioiellarsi delle foglie biancoverdi, che al vento librano con grazia, proprio come le vecchie. Quante volte ho misurato con i miei passi tutta la loro estensione, quanti diversi sentimenti ho avvertito e considerato! Nel rigido inverno, appena dopo una nevicata, spesso ho spianato con i miei passi un cammino facendomi accompagnare dalla mia amata piccola cinciallegra, che speravo di rivedere in autunno e che invece non mi troverà più, quando ritornerà alla finestra dove tante volte le ho dato da mangiare. A marzo, quando nel bel mezzo del gelo più rigido abbiamo avuto il sollievo di un paio di giorni più tiepidi, il mio sentiero si è trasformato in un fiumiciattolo. Ricordo ancora come, accarezzata dal vento tiepido, la superficie dell'acqua si increspava in piccole onde, e i mattoni del muro vi si rispecchiavano nitidi e vividi. Poi, alla fine di maggio, è arrivata la prima violetta a fianco del muro, quella che Le ho spedito.
Oggi, camminando laggiù ed osservando, assorta nei miei pensieri, continuavano ad affiorarmi alla mente i versi di Goethe:
»Il vecchio Merlino nella tomba luminosa
dove da ragazzo mi confidai...«
Sa sicuramente come proseguono. La poesia, ovviamente, non aveva niente a che fare con il mio stato d'animo e con ciò che occupava la mia mente. Era solo la musica delle parole e la singolare magia della poesia che mi cullava, tranquillizzandomi. Non so nemmeno io com'è che una bella poesia, specie di Goethe, possa avere un tale profondo effetto in me ogni volta che sono molto agitata o turbata. È quasi un effetto fisiologico, come se sorseggiassi con labbra assetate una deliziosa bevanda in grado di darmi refrigerio e rimettere in salute anima e corpo. La poesia dal Divano occidentale-orientale, cui accenna nella Sua ultima lettera, non la conosco: potrebbe trascrivermela? E ce n'è ancora una che desidererei avere da molto tempo, perché manca, nel volumetto di Goethe che ora ho con me: »Saluto floreale«. È una piccola poesiola con da quattro a sei versi, la conosco da una canzone di Wolf, che è indescrivibilmente bella, in particolare la strofa finale, che fa più o meno così:
»Li ho colti
struggendomi di nostalgia,
Al mio cuore li ho stretti,
Ah, migliaia di volte!«
Nella musica c'è qualcosa che suona di così sacro, delicato e puro, come una genuflessione in una preghiera muta. Ma non me ne ricordo più il testo e vorrei riaverlo.
Ieri sera, verso le nove, ho assistito ancora ad uno spettacolo meraviglioso. Dal divano ho notato, attraverso la finestra, il riflesso luminoso di una sfumatura rosa che mi ha sorpresa, perché il cielo era tutto grigio. Mi sono avvicinata alla finestra e vi sono rimasta incantata. Sul piattume monotono del cielo completamente grigio, si stagliava ad est una nuvola immensa, di un colore così stupendamente soprannaturale, così distante da tutto il resto, da sembrare un sorriso, una specie di saluto da una lontananza ignota. Ho respirato profondamente, come liberata, e ho allungato automaticamente entrambe le mani verso quell'immagine così incantevole. Se esistono colori e forme come quelli, allora la vita è bella e meritevole di essere vissuta, no? Ho aderito con lo sguardo fisso all'immagine luminosa per assorbirne ogni singolo raggio rosa finché, all'improvviso, ho dovuto ridere di me stessa. Dio mio, il cielo e le nuvole e tutta la bellezza della vita non restano mica a Wronke, non dovevo mica congedarmi anche da tutto questo; no, questi proseguono con me e rimarranno con me, ovunque io sia, finché vivrò.
Le scriverò presto da Breslau; venga a visitarmi laggiù, non appena Le riesce. Mi saluti caramente Karl.
Tanti abbracci. Arrivederci nella mia nona prigione.
La Sua fedele
Rosa.

Gliela mandiamo? Gliela mandiamo.

Blumengruß

Der Strauß, den ich gepflücket,
Grüße dich vieltausendmal!
Ich habe mich oft gebücket,
Ach, wohl eintausendmal,
Und ihn ans Herz gedrücket

Wie hunderttausendmal!

J. W. Goethe
Wolfs Lied

Saluto floreale

Il mazzo di fiori che ho colto
ti porga i miei saluti a migliaia e migliaia!
Mi sono spesso chinato,
Ah, senz'altro un migliaio di volte,
E al mio cuore l'ho stretto
Almeno centinaia di migliaia di volte!

giovedì 20 settembre 2012

Acta Muriensa

I. Portalsspruch der Universität Muri

Lirum larum Löffelstiel, kleine Kinder fragen viel

II. Vorlesungsverzeichnis der Universität Muri

Theologie:
Prof. Robert Eisler: Geschichte des abendländischen Paganismus von Papageno bis Paganini
ders.: Damenmantel und Badenzelt
Prof. Max Scheler: Leben und Werke des hl. Johann Maria Farina
Im dogmengeschichtlichen Seminar:
Prof. A. Von Harnack: Das Osterei. Seine Vorzüge und seine Gefahren
Prof. Max Scheler: Übungen zum Konklave

Philosophie:
Prof: I. Kant: Übungen über Erdmann. Von Leibniz bis Bahlsen
Prof. Bleuler/Zürich: der Weinzwang
Im Seminar für experimentelle Psychologie:
Prof. Stumpf: Seelenmessung
Prof. Scheler: Seelenmessen
Prof. Wilamowitz-Moellendorff: Leben und Treiben der Hoflieferanten
Prof. Levison: Herrmann der Cherusker (vierstündig)
Prof. Delitzsch: Fibel und Säbel





I. Motto sul portale dell'università di Muri

Lirum larum manico di cucchiaino, quante domande fa un bambino

II. Programma dei corsi dell'università di Muri

Teologia:
Prof. Robert Eisler: Storia del paganesimo occidentale da Papageno a Paganini
lo stesso: Manto spaziale e svolta celeste 
Prof. Max Scheler: Vita ed opere di S. Giovanni Maria Farina 
Nel seminario di storia del dogma:
Prof. A. Von Harnack: L'uovo di Pasqua. I suoi pregi e i suoi rischi
Prof. Max Scheler: Esercizi per il conclave


Filosofia:
Prof: I. Kant: Esercizi su Erdmann. Da Leibniz a Bahlsen
Prof. Bleuler/Zürich: l'obbligo di consumazione
Prof. Stumpf: Misurazione dell'anima
Prof. Scheler: Metratura dell'anima
Prof. Wilamowitz-Moellendorff: Vita ed opere dei fornitori di corte
Nel seminario di psicologia sperimentale:
Prof. Levison: Arminio il cherusco (quattro ore)
Prof. Delitzsch: Fibula e sciabola


Da Acta Muriensa, gioco ideato da Benjamin e Scholem e redatto tra il 1918 e il 1923 nei loro scambi e corrispondenze sull'immaginaria università svizzera di Muri, un paesino vicino a Berna.
Il titolo reale dell'opera di Eisler era Weltenmantel und Himmelszelt (manto cosmico e volta celeste), un testo del 1910.
Giovanni Maria Farina è il creatore dell'Acqua di Colonia, mentre il santo si chiama Giovanni Antonio Farina.

giovedì 13 settembre 2012

Materialien zu einem Selbstporträt

Mein Stolz, als Heinle in seinem »Vielgeehrt und Hochberufen« eine Zeile nach meinem Vorschlage änderte; und vielleicht erklärt er sich weniger aus der Sache als aus dem Vorgefühl meiner Gabe zur Mitarbeit, die sich später vielfach bestätigt hat. Ein Erster zu sein, hat große Schwierigkeiten, bietet auch einige Chancen. In anderer Weise gilt das selbe von einem Letzten, wie ich es bin. Wenn ich den unglaublichen Quatsch lese, den X schreibt, so sage ich mir, welchen Wert kann seine hohe Schätzung meiner eignen Arbeiten denn eigentlich haben? Und dann beruhige ich mich mit der Überlegung, wie unbezweifelhaft begründet meine hohe Schätzung von Y(s) Arbeiten ist, trotzdem doch meine nichts taugen. Auflösung des Rätsels, warum ich niemanden erkenne, die Leute verwechsle. Weil ich nicht erkannt sein will; selber verwechselt werden will.

Walter Benjamin, Gesammelte Schriften: Fragmente vermischten Inhalts; Autobiographische Schriften, Suhrkamp 1985


Materiali per un autoritratto

Ah, il mio orgoglio, quando Heinle, nella sua poesia »Molto onorato e chiamato ad alti destini«, ne ha modificato un verso seguendo un mio suggerimento; e forse si spiega meno per la cosa in sé che per il presentimento del mio talento nella collaborazione, che in seguito ha avuto modo di confermarsi più volte. Essere tra i primi comporta grandi difficoltà, ma offre anche alcune opportunità. Seppur in altro modo, vale lo stesso nel caso in cui si sia tra gli ultimi, come lo sono io. Quando leggo le incredibili sciocchezze che scrive X, allora mi chiedo che valore possa avere in realtà la sua grande stima per i miei lavori. Ma poi mi tranquillizzo riflettendo sul modo in cui la mia grande stima per i lavori di Y sia senza dubbio fondata, nonostante i miei siano del tutto inadeguati. Soluzione dell'indovinello: perché non riconosco nessuno e confondo le persone? Perché non voglio essere riconosciuto e io stesso voglio essere scambiato per qualcun altro.

Paro paro.

mercoledì 12 settembre 2012

Or, en étudiant le développement de l'Italie

Or, en étudiant le développement de l'Italie, on reconnait que cette marche vers la conscience, c'est-à-dire vers la souveraineté de la raison, n'a nullement été la sienne. Si l'on veut appeler protestantisme, philosophie, révolution, les trois phases du developpement moderne, il faut dire que l'Italie est restée également étrangère à ces trois manifestations. Le protestantisme n'y a gagné que des partisans isolés ; l'Italie est restée catholique. Voltaire a passé, et l'Italie est restée religieuse à l'ancienne manière. La Révolution a créé dans le monde l'idéal indéfiniment perfectible d'une société rationelle, et l'Italie est réstée un pays mal organisé, où le droit n'existe que sous forme de privilége et le bien que sous forme d'abus.

Ernest Renan, Essais de morale et de critique, Calmann Lévy Éditeurs, Paris 1889, page 219

Ora, studiando lo sviluppo dell'Italia, si riconosce che questa marcia verso la coscienza, vale a dire verso la sovranità della ragione, non è stata per niente la sua. Se si vogliono chiamare protestantesimo, filosofia, rivoluzione, le tre fasi dello sviluppo moderno, bisogna dire che l'Italia è rimasta egualmente estranea a queste tre manifestazioni. Il protestantesimo vi ha conquistato solamente qualche partigiano isolato: l'Italia è rimasta cattolica. Voltaire è passato, e l'Italia è rimasta religiosa all'antica. La Rivoluzione ha creato nel mondo l'ideale indefinitamente perfettibile di una società razionale, e l'Italia è rimasta un paese mal organizzato, in cui il diritto esiste solo sotto forma di privilegio e il bene solo sotto forma di abuso.

*

L'ho aperto, presa per mano da Benjamin, per leggere il capitolo La Poésie de l'Exposition (pag. 353), da cui avrei voluto solo riprendere il passaggio citato da lui (Le Vatican, cet incomparable sanctuaire du grand art, est, sous le rapport du confortable, le plus triste palais du monde, nu, délabré, inhabitable, ouvert à tous les vents. Note : La seule aile qui soit habitée est moderne et insignifiante du point de vue de l'art), ma mi son fatta distrarre, e molto, mentre la mente andava al duomo di Milano visto da Giono nel suo Voyage en Italie (Il y a aussi ce Duomo qui ne vaut pas un pet de lapin), da Dom Luigi Tosti, ou le Parti guelfe dans l'Italie contemporaine (pag. 205), da cui è tratto l'estratto, e da Les Révolutions d'Italie (pag. 243).

Da questi appunti uscirà qualcosa, un giorno. Nel frattempo, sempre per il tramite di Benjamin, ho trovato una valanga di testimonianze dell'epoca dello sventramento di Parigi da parte di Haussmann, tutte concordi nell'individuarne lo scopo nell'eliminazione delle condizioni urbanistiche idonee all'innalzamento di barricate tra palazzi prospicienti, più che per risanare quartieri poveri, come ufficialmente sostenuto all'epoca. Uno scopo brillantemente raggiunto, con l'effetto bonus dell'aumento degli affitti, il che diede vita ad un cambiamento radicale nella distribuzione geografica della popolazione in base al censo che da allora non ha mai cessato di accentuarsi: ricchi dentro, poveri fuori, costretti a pendolare ogni giorno tra l'abitazione all'esterno ed il luogo di lavoro all'interno della città. Forse, per lo scoppio definitivo della rabbia delle banlieues, è solo questione di tempo, quello necessario a raggiungere una certa densità di popolazione ed una data distanza tra gli edifici nelle periferie.
Ci sono anche altre interpretazioni, naturalmente, da parte di coloro, tra le fonti di Benjamin, che sono inclini a considerare anche fattori diversi da quelli strettamente politico-sociali. Costoro hanno individuato nell'allargamento e nel prolungamento delle strade una migliore disposizione urbanistica concepita per tutt'altro motivo: les promenades delle signore in abiti di crinolina, che aveva bisogno del suo spazio, per essere valorizzata e sfoggiata a dovere.
Quando, svirgolando in bici, guardo il giapponese di turno che rischia la vita, piazzandosi in mezzo al traffico di auto, bus e pullman che ingorgano avenues e boulevards, spunta un terzo filone interpretativo, ancora inspiegabilmente inesplorato, della vera natura dell'opera di Haussmann: offrire le condizioni migliori possibili ai turisti per fotografare il palazzo che si staglia, immancabile, in fondo alla via. Profetico, il barone.
La profezia non è tra le mie qualità. Mai avrei immaginato di rientrare a casa in un paesaggio urbano adatto, ad un tempo, alla fine delle rivoluzioni, alla crinolina francese ed al turista giapponese.


lunedì 10 settembre 2012

Dizionario di tutte 'e cose - U come Umiliazione

Per quanto politicamente distante da me, devo ammettere che ho tratto un sospiro di sollievo, quando Napolitano ha nominato Monti presidente del consiglio. Il fiato si fa corto in molte circostanze, come per esempio quando il presidente del consiglio contribuisce ad acuire l'ingiustizia sociale o si reca all'aeroporto per porgere i suoi omaggi a Benedetto XVI, tuttavia, globalmente, respiro meglio di quanto sia riuscita a fare negli ultimi vent'anni (e potrei dire tranquillamente quarant'anni), vista la pochezza della politica di centro-sinistra che mi è toccata in sorte di vedere, i suoi legami con i chierici, la sua debolezza di fronte all'accentramento dell'informazione nelle mani di pochi, l'insufficiente o nullo stimolo impresso alle attività di ricerca e sviluppo, lo zelo con cui ha inviato aerei a bombardare Belgrado, il contributo dato all'istituzione di centri di detenzione per immigrati, la mancanza di volontà o l'incapacità di ricostruire i fatti ed individuare i responsabili delle numerose pagine stragiste, terroriste e mafiose della storia italiana del dopoguerra.

Per quanto, idealmente, nessuno, a parte me, rappresenti me stessa, nella realtà, coloro che rappresentano o amministrano o si candidano ad amministrare l'Italia, tanto più se diventano noti anche all'estero, rappresentano anche me di fronte agli altri, almeno fintanto che ho un passaporto italiano: è un'umiliazione continua.

Per quanto viva altrove e non riesca sempre ad essere sufficientemente informata sulla realtà italiana presente, ho la netta sensazione che i quarant'anni diventeranno cinquanta e chissà quanti altri ancora, salute permettendo.

Stampatemi una scheda elettorale che comprenda, tra le liste, quella del Partito d'Azione, s'il vous plaît.

*

De beroemdste komiek van Italië, Beppe Grillo, uitte op internet zijn woede over de Italiaanse politiek. Dat weblog werd de basis van een eigen politieke partij die twintig procent van de Italianen aan zich wist te binden. Beppe Grillo ontvangt Nieuwsuur bij hem thuis en gaat tekeer over de Italiaanse politiek en Europa.

   

Il famoso comico italiano, Beppe Grillo, ha espresso su internet la propria rabbia in tema di politica italiana. Il blog è diventato la base di un partito politico personale che è in grado di aggregare attorno a sé il venti per cento degli italiani. Beppe Grillo accoglie a casa sua Nieuwsuur e sbraita sulla politica italiana e sull'Europa (ndt: tradotto fingendo che sia tedesco).

Note
1. La metafora della luce del treno in fondo al tunnel è cara anche a Marchionne. Il treno, invece, a meno che non sia sufficientemente lento, non gli è tanto caro, proprio come a Marchionne.
2. Rischio defòTM.
3. Noi abbiamo al governo gente che non è stata eletta. Vero. Politicamente non molto elegante, tuttavia previsto dall'articolo 92 della Costituzione.
4. Spingerò una sorta di - spero - giovani, età media trent'anni. Anche Michel Martone è giovane. Anche Nicole Minetti è giovane. Anche la Pivetti, a suo tempo, lo era. Per quanto sia difficile crederlo, persino Andreotti, all'inizio della sua carriera politica, era giovane. Ecc. ecc.
5. Preparati, con un curriculum. Chiunque ha un curriculum. 
6. Persone selezionate dalla rete. La rete come sinonimo di garanzia e di democrazia (v. siti e forum di movimenti filonazisti, xenofobi, negazionisti, ecc., o anche solo il più innocuo Spazio Azzurro).
7. Creeranno trasparenza, con le webcam. La rete come sinonimo di garanzia e di democrazia, 'nata vota. Le sedute del Parlamento italiano e anche di quello europeo sono già pubbliche e ampiamente diffuse dalla televisione ed in rete e discretamente seguite dai giornali.
8. Io non so se sono in grado di fare il Presidente del Consiglio, ma qualsiasi persona che potrà fare il Presidente del Consiglio per il governo di questo paese è meglio del migliore di questi cialtroni. v. Fronte dell'Uomo Qualunque.
9. Berlusconi lasciamolo nel suo cimitero... hanno 75 anni di media. L'età media: un'ossessione, pare.
10. Noi stiamo coprendo un vuoto in una nazione che ha inventato il fascismo. E svariati arruffapopolo, sempre tollerando l'ingerenza continua della Chiesa cattolica in ogni momento della vita di ogni cittadino (nascita, crescita, educazione, rapporti di coppia, malattia, fine vita e morte), una sovranità limitata durante la guerra fredda, la mafia, la corruzione e svariate stragi.
11. Chi me lo fa fare, a me? Mi ricorda qualcuno e non mi serve andare troppo indietro nel tempo, per farlo.
12. Noto infine che il Non Statuto del movimento di Grillo prevede, all'art. 5, che tra le condizioni per aderire al movimento ci sia il possesso della cittadinanza italiana. Esattamente come il Pdl (art. 2 dello statuto), ma diversamente dal Pd (art. 2: "cittadine e cittadini italiani nonché cittadine e cittadini dell’Unione europea residenti ovvero cittadine e cittadini di altri Paesi in possesso di permesso di soggiorno"), e ancora più diversamente da Sel (art. 2: "donne e uomini indipendentemente dalla loro cittadinanza") e dall'Italia dei valori (art. 5: "tutti coloro che hanno compiuto il sedicesimo anno di età").

sabato 8 settembre 2012

In un sabato di settembre

Herbsttag

Herr: es ist Zeit. Der Sommer war sehr groß.
Leg deinen Schatten auf die Sonnenuhren,
und auf den Fluren laß die Winde los.

Befiehl den letzten Früchten voll zu sein;
gieb ihnen noch zwei südlichere Tage,
dränge sie zur Vollendung hin und jage
die letzte Süße in den schweren Wein.

Wer jetzt kein Haus hat, baut sich keines mehr.
Wer jetzt allein ist, wird es lange bleiben,
wird wachen, lesen, lange Briefe schreiben
und wird in den Alleen hin und her
unruhig wandern, wenn die Blätter treiben.

Rainer Maria Rilke, Das Buch der Bilder

Per persone serie
Giorno d'autunno, traduzione di Giaime Pintor.

Per persone meno serie
In questo sabato di settembre, all'insegna del frammento di Benjamin Über die Doppelbedeutung von »temps« im Französischen (sul doppio significato di "temps" in francese), che mi suggerisce una ricchezza nella povertà e non un'insanabile carenza del francese e dell'italiano, come invece tendevo a pensare io, rispetto a Zeit e Wetter della lingua di Benjamin, nell'attesa che arrivi l'unica cosa che possa arrestare i naufragi nel Mediterraneo: il cattivo tempo, mi sono messa a srotolare pentametri, perché sarebbe proprio ora, caro tempo, che dopo il caldo dell'estate lasciassi stendere le tue ombre sulle meridiane e dessi finalmente libero spazio al vento di lisciare l'erba delle campagne. Si tratta, in fondo, di compiere solo qualche minimo gesto ancora: rendere rotondi i frutti tardivi, dar loro ancora un paio di giorni sereni fino a farli maturare appieno e trasfondere nel vino denso l'ultimo residuo di dolcezza. Chi ora è senza casa, non se la costruirà più. Chi ora è solo, a lungo solo dovrà restare, aspettare il sonno, leggere, scrivere interminabili lettere e vagare inquieto per le strade quando sarà per le foglie il tempo di provare a spiccare il volo, prima di cadere.

Ho notato che inizia per Herr. 

martedì 4 settembre 2012

Pour ne pas oublier

Sono nata ad Istanbul, in una città tra due mondi, tra due continenti, una città in cui c'erano degli immigrati di due guerre, dei russi che erano fuggiti dalla Rivoluzione d'ottobre e dei tedeschi che erano fuggiti dal nazismo. Era una città in cui si parlavano diverse lingue. Anche nella mia famiglia parlavamo diverse lingue: il francese, il tedesco, il bulgaro, l'ebraico-spagnolo e il turco, che ho imparato all'esterno, per strada, ma che i miei genitori non parlavano. Tuttavia, non è affatto questa la ragione per cui credo di essere diventata un giorno traduttrice, piuttosto tardi nella mia vita.
Verso i diciott'anni sono venuta in Francia per studiare e, più o meno nello stesso periodo, sono andata in Israele ed è lì che ho sentito per la prima volta l'ebraico, che non riuscivo a mettere in relazione con  nessuna delle lingue che conoscevo, e che non riuscivo a leggere, ma la cui sonorità mi ha subito colpita per la sua estraneità, come qualcosa di completamente sconosciuto e al contempo di familiare, un po' onirico.
Sono andata avanti ed indietro più volte tra la Francia ed Israele, poi sono ritornata qui con poca speranza di ritornare a vivere laggiù e ho avuto all'improvviso paura di dimenticare l'ebraico ed è a quel punto che ho cominciato a tradurre letteratura israeliana dall'ebraico, per non dimenticare.
Ho tradotto molti libri, ma vorrei parlare di un libro che non ho tradotto, che ho letto di recente e che mi ha profondamente colpita. È un libro di Ronit Matalon, una scrittrice di origine egiziana. I suoi genitori sono venuti dall'Egitto. Ha già scritto altri libri, in precedenza. Il suo libro si chiama, in ebraico, קול צעדינו (Kol tse'adenu), ovvero il suono, la voce, il rumore dei nostri passi, ed è un libro - cosa che mi è piaciuta moltissimo - il cui personaggio centrale, principale, è una baracca di immigrati che si muove, che cambia nel corso dell'intera storia e che ruota attorno ad un perno centrale, in questa precarietà, una specie di madre coraggio, l'unica fonte di reddito della casa, che, a seconda dei suoi capricci e del suo umore, cambia le stanze, ne cambia la funzione e fa spostare la famiglia attorno a sé. La scrittura di Ronit Matalon crea una specie di movimento a scatti, una miscela di frasi estremamente solide che restano al contempo a scatti ed instabili, la cui forma mi ha conquistata. Il libro mi ha ricordato una traduzione fondamentale della mia vita, quella di Yaakov Shabtai, זכרון דברים (Zikhron devarim), Pour inventaire, uno dei più grandi libri scritti in ebraico moderno nel XX secolo, la cui traduzione è stata per me un'esperienza sconvolgente e fondamentale, che ha determinato il mio destino di traduttrice e di scrittrice, facendo cooperare mutuamente queste due attività, che si sono continuamente rafforzate e supportate l'un l'altra. E nel libro di Yaakov Shabtai, i cui genitori sono originari della Polonia, mentre quelli di Ronit sono originari dell'Egitto - nel libro di Ronit si sente, sullo sfondo, dell'arabo e del francese -, nel libro di Yaakov Shabtai, i cui genitori sono polacchi, si sente dello yiddish, del russo, dell'inglese, del francese, perché fa circolare questi personaggi tra l'esterno e l'interno. Vi si trova al contempo la stessa precarietà intorno ad un quartiere di baracche che lo rende praticamente mitico, Nordia, posto nel cuore di Tel Aviv, oggi il Dizengoff Center. Vi ho trovato, non nelle frasi, non nello stile - Yaakov Shabtai ha scritto questo libro trent'anni prima, si tratta di un'altra generazione, di altre origini, di due mormorii linguistici diversi - in questa specie di precarietà/solidità, di movimento, nelle lunghe frasi di Shabtai, qualcosa che fa ondeggiare le vite, le baracche, in questo capitolo di vita in questo paese, una stessa componente di questo ebraico conciso, nomade eppure solido. È forse questo che le mie orecchie bizantine, tra i miei russi dell'infanzia, tra il nord e il sud, tra l'oriente e l'occidente, è forse questo che cerco di tradurre, che le mie orecchie sentono e che cerco di riversare in questa specie di espressione cangiante, ma così sedentaria del francese. Forse è da questo scontro tra il precario ed il sedentario, tra la ricchezza del discorso delle parole del francese e la rocciosità desertica dell'ebraico, che esce qualche cosa che è in parte traduzione, in parte scrittura.

Rosie Pinhas-Delpuech
in Traduir (שפה אחת ודברים אחדים), un film di Nurith Aviv, 2011

Nel frattempo il libro di Ronit Matalon è stato tradotto in francese da Rosie Pinhas-Delpuech con il titolo Le bruit de nos pas, Stock 2012. Ne esiste anche una traduzione italiana, per una volta più recente: Il suono dei nostri passi, Atmosphere 2011, traduzione di Elena Loewenthal.

domenica 2 settembre 2012

Fermati, viaggiatore


Il sacrario dedicato a Rodolfo Graziani ad Affile (Roma)


Nell'agosto del 2012, ad Affile è stato solennemente inaugurato un sacrario dedicato al generale fascista e ministro della RSI Rodolfo Graziani.
Secondo il sindaco di Affile, Ercole Viri, il sacrario "era atteso non solo ad Affile ma anche dalla Valle Aniene e dall'Italia intera". Il sindaco ha inoltre precisato: “Non devo perdonare nulla al soldato, con la s maiuscola, Graziani. Oggi abbiamo dimostrato che il nostro concittadino non ha commesso errori. Onoriamo il generale in quanto affilano e degno di rivalutazione rispetto alla storia scritta da chi era mosso da altri intenti”.
L'assessore regionale Francesco Lollobrigida ha aggiunto: "Per noi della Valle Aniene l'affetto per il generale Rodolfo Graziani è stato sempre un punto di riferimento".
In occasione della cerimonia di inaugurazione, don Ennio Innocenti del clero romano ha tenuto una conferenza sulla "Memoria del generale".

Sono tutti fatti noti. Altrettanto noto è il fatto che il mausoleo è stato finanziato dalla regione Lazio. Meno noto è che la regione Lazio non ha provveduto a dedicare un epitaffio poetico al generale. Volentieri rimediamo a questa grave ed inspiegabile mancanza.

Epitaph

Posterity will ne’er survey
A nobler grave than this: 
Here lie the bones of Castlereagh
Stop, traveller, and piss. 

Lord Byron

Epitaffio

La posterità non vedrà mai
una tomba più nobile di questa qui:
qui giacciono le ossa di Castelreagh
fermati, viaggiatore, e fai pipì.


Castlereagh non ha lasciato un bellissimo ricordo in alcune parti dell'Irlanda. 

Can you imagine what would happen if a small German town honoured even a minor German war criminal? (Riuscite ad immaginare cosa succederebbe se una piccola città tedesca rendesse onore ad un criminale di guerra tedesco anche di minore importanza?)