sabato 30 luglio 2011

e la prora ire in giù, com’altrui piacque

Non avevo ancora 10 anni, il 2 agosto del 1980. Se provo a depurare i miei ricordi dalle conoscenze sulla strage di Bologna che ho accumulato negli anni seguenti, vedo, all'indomani della strage e nei giorni immediatamente successivi, solo pagine di quotidiani lasciati su teli da bagno di una spiaggia della costiera triestina, con fotografie in bianco e nero, ad ingiallire al sole d'agosto. Eppure, nonostante la gravità dell'attentato di Bologna, di tutte le innumerevoli azioni terroristiche che hanno costellato gli anni della mia infanzia, il punto più alto, in termini di netta percezione di un senso di smarrimento che necessariamente assorbivo dal mondo degli adulti, è stato il sequestro Moro, non la strage di Bologna, come se gli italiani - mi vien da pensare ora - a parte le prime naturali reazioni di sgomento, fossero allora già intimamente rassegnati a quella sequenza di morte di Stato avviata da piazza Fontana (o, meglio, da Portella della Ginestra) e all'impossibilità, proprio in quanto morte di Stato, di conoscerne tutti gli artefici e tutte le menti. C'è una fotografia impressa nel mio cervello che ritrae un momento di pausa nei miei giochi di strada con i miei compagni di allora: me su una bicicletta a fianco di un cancello verde, di cui impugno una sbarra per tenermi in equilibrio da ferma per evitare di mettere i piedi a terra, mentre cerco di esprimere le mie paure e la mia incapacità di comprendere e pongo domande ad una bambina di appena un anno più grande di me, ma già per questo considerata in grado di dare possibili risposte ai miei interrogativi, alla nebulosa delle mie incomprensioni. È, questa, la mia personale istantanea dei lunghi giorni del sequestro Moro. Di Bologna, se escludo gli anni successivi, non mi resta niente, a parte quei giornali sulla spiaggia e, in secondo piano, il sospiro di sollievo della mia famiglia nel pensare che lo zio Paolo, allora studente al DAMS, quei giorni a Bologna non c'era.

Il governo fa benissimo a non inviare alcun suo rappresentante alle commemorazioni per la strage. La sinistra, dopo trentuno anni, potrebbe fare altrettanto, se non altro per quello che non ha saputo fare, se non altro perché non ha affrontato il nodo del segreto di stato, se non altro perché si trova ancora una volta impotente ed inadeguata di fronte all'ennesimo governo i cui più alti rappresentanti hanno avuto in tasca tessere della P2. Non sarà così, ma sarebbe bello se il 2 agosto 2011, a Bologna, per una volta, parlassero solo ed esclusivamente i superstiti e i parenti dei morti e dei feriti, italiani e stranieri, e tutti gli altri, per un giorno, tacessero.

In occasione della prima commemorazione pubblica organizzata dal Comune, che da subito fu contestata da coloro - cattolici, posto che sia necessario dirlo - che dichiaravano che i morti si sarebbero dovuti commemorare in silenzio, il 31 luglio del 1981, dalla Torre degli Asinelli, Carmelo Bene non ricordò i morti del 2 agosto di un anno prima, ma i feriti, e lo fece declamando Dante. Dante è uno dei nostri primi rifugi quando ci arrendiamo e non siamo disposti ad ammetterlo. È un brutto, bruttissimo segno, quando gli italiani leggono Dante in pubblico.

venerdì 29 luglio 2011

白日依山尽

Alle 14:23 di giovedì 28 luglio 2011, sul mio quaderno di cinese la carta ha lentamente assorbito, tratto dopo tratto, dell'inchiostro nero, dando forma al primo verso della prima poesia cinese che abbia mai imparato direttamente dall'originale: 

白日依山尽


Il momento andava documentato con la dovuta ufficialità.
Per una possibile versione italiana di una poesia che in Cina conoscono pure i bambini allo stesso modo in cui i bambini tedeschi conoscono la storia delle mele marce che Schiller teneva nel cassetto della scrivania per trarre ispirazione dal loro odore, posso passare ancora tranquillamente dei giorni a pensare ad un sole bianco che dopo essersi posato sulla montagna declina fino a sparire alla vista.

giovedì 28 luglio 2011

Accoglienze trionfali

È un peccato, trovo, che G. si limiti a scrivere delle email. Se solo si dedicasse un po' alla scrittura con la stessa attenzione e costanza che riserva ai pomodori, alle patate, alle lingue, alla storia e alla fisica quantistica, potrebbe scrivere un testo, anche breve, di un centinaio di pagine. Un centinaio di pagine basterebbero per raccontare una storia. La sua, conoscendolo, sarebbe una storia semplice e cristallina, con presente e passato (e tracce di futuro) in reciproco, armonico dialogo.
Ho preso un libro, "La lunga notte dei Mille", Paolo Brogi, Aliberti editore. Racconta come è andata a finire con i Mille dal punto di vista delle loro storie personali: in molti casi male, furono tutti maltrattati e malvisti. 
Forse ti ricordi di X, che da noi aveva funzioni di portiere, messo, ecc.: si è laureato e si occupa di cose storiche. Scrive che nel 1867 Garibaldi andò a Vicenza (e a Lonigo e a Chioggia e in altre parti del Veneto) per sostenere alle elezioni il candidato della sinistra, in opposizione al conte Fedele Lampertico. L'accoglienza a Garibaldi fu trionfale, parlò dalla Basilica ad una folla che riempiva tutta la Piazza dei Signori. Lampertico divenne senatore del regno. Solo X conosce il nome dell'altro candidato. 
Il prof. Isnenghi, intervistato alla radio qualche giorno fa, raccontava, per la medesima tornata di elezioni, che a Chioggia l'entusiasmo per Garibaldi fu tale che la folla staccò il cavallo e portò direttamente a spalle il calesse con dentro Garibaldi, in centro città. Ma i voti a Chioggia li prese quell'altro. 
Da un'email di G., 26 luglio 2011
Il nome dell'altro candidato - scopro ora, grazie a Google Books e a Silvio Lanaro - era Angelo Piloto. Tanto per non lasciare da solo X con il fardello di un mezzo-segreto proprio ora che si è riuscito a liberare da chi, come ogni sostenitore dei Lampertico dei giorni nostri che si rispetti, gli prospettava di fare il portiere, il messo, ecc. per tutta la vita.
È anche per attrazione verso sentieri segnati da tracce così che una delle fonti delle mie distrazioni è la storia e - ahimè - la storia italiana.

Aggiornamento del 29 luglio 2011, ovvero se Maometto non va alla montagna...

G. ha aggiunto qualche altro particolare, dopo aver precisato, travisando intenzionalmente il senso delle mie parole, ma gratificandomi al contempo con il dono di qualche parola in una bellissima lingua, che la sua vita non è così importante da poter scrivere un libretto con la sua storia (mejin leven, denk ik, is niet zoveel gewichtig dat ik en boekje met meijn geschiedenis schrijven kan).
Ci sono in effetti due novità, come spesso capita una buona e una cattiva, e delle altre strade che si diramano a partire dalle elezioni politiche del 1867. La notizia positiva è che i suoi pomodori sono grandi, rotondi e rossi (Meijn tomaten zijn groot, rond en rood). Non hanno invece avuto la stessa buona sorte le patate, quest'anno, forse per la troppa pioggia (Maar de aardappelen deze jaar gaan helemaal niet... Te veel regen, misschien).
Quanto alle altre strade, ora a G. e a me resta una curiosità, che sarà probabilmente difficile riuscire a soddisfare appieno, quella di sapere che fine fece Piloto, che X ha confermato essere proprio il candidato che, come da copione, perse le elezioni a Vicenza contro il conte Lampertico, il famoso industriale delle filande. Per il momento, siamo solo riusciti a trovare che nel suo testamento Piloto diede indicazione di dare vita ad una fondazione, che prese il suo nome, "per la parte più bisognosa e sofferente della classe operaia di Vicenza, preferendo sempre quelli che, in onta al continuo lavoro ed al risparmio, non guadagnino tanto quanto basti loro per vivere".
Abbiamo poi entrambi notato, grazie al summenzionato Lanaro, che un secondo eletto si chiamava Fogazzaro: purtroppo ignoriamo - altra curiosità da soddisfare, seppure solo in seconda battuta - se questi fosse parente di quell'Antonio che a Velo d'Astico nel 1907 si fece costruire, mobilitando non meno di 200 operai, una villa (menzionata nel suo Leila). La villa fu distrutta nel '16 dal fuoco amico inteso a fermare la ben nota Strafexpedition degli imperialregi. Fogazzaro/Valmarana possedeva altresì un castello e vaste proprietà a Montegalda, nonché una grande villa sul lago d'Orta (personalmente indissociabilmente legato al poeta Ragazzoni, come sanno i lettori che passano di qui). Antonio, come noto, fu il modernista che, grazie alle sue ricchezze e ai suoi possedimenti, si potè permettere di litigare un po' con madre chiesa, la quale, per punirlo, non esitò a trafficare con gli svedesi per evitare che gli concedessero il premio Nobel. Fu così che nel 1906 lo vinse il senza dio Carducci dell'inno a Satana (A te, de l'essere/Principio immenso,/Materia e spirito,/Ragione e senso).
Per quanto riguarda infine il terzo eletto di Vicenza, il Rossi dei lanifici di Schio, ci piace ricordare che fu quello che nel '98, l'anno di Bava Beccaris, lasciò senza lavoro 300 operai rei di avere scioperato a causa delle condizioni di lavoro inumane cui erano sottoposti nei suoi stabilimenti: quasi tutti lasciarono l'Italia per il Brasile.
Ricostruita negli anni '20 e poi divenuta proprietà dell'ordine religioso delle Passioniste di San Paolo della Croce, non va confusa con la Villa Valmarana, a Seghe di Velo, della suocera di Antonio, nonché sorella del senatore Fedele LamperticoGiuseppina Lampertico-Valmarana:  tout se tient.

mercoledì 27 luglio 2011

Europa mira siempre para otro lado

Ogni stato europeo si è chiuso in sé: uno apre la guerra in Libia, un altro, appena fatto il giusto esame sui diritti umani ai cinesi in visita, vende 200 carri alla radicata democrazia saudita per reprimere i riottosi, affini agli stessi che in Libia diciamo di voler sostenere come primavera nordafricana, un terzo addestra forze saudite contro gli insorti yemeniti, definiti coraggiosi, salva la Siria, un quarto rimuove unilateralmente le regole frontaliere di Schengen, un quinto finge di non aver mai saputo dei metodi del grande magnate liberista australiano dei mezzi di comunicazione, un sesto si balocca da più di un anno senza governo su beghe da condominio, un settimo mantiene pervicacemente al potere un uomo condannato per truffa e corruzione, tutti accettiamo le valutazioni di una o più agenzie private non europee, che non hanno saputo e voluto prevedere la crisi, poiché ne sono complici, sul debito degli stati, dando infine tutti addosso ai greci che contano per il 2% dell'economia europea, chiedendo loro, un ottavo paese membro, stolidamente il Partenone come garanzia.
Naturalmente tutti siamo per la pace e il progresso e intanto in casa succedono i fatti di Norvegia. Come dice oggi El País "Europa mira para otro lado": me parece que Europa mira siempre para otro lado e non si accorge che il mondo sta cambiando. 
Da un'email del mio amico G., 26 luglio 2011

山寨/Entschöpfung

[...]

Com'è arrivato Byung-Chul Han alla lingua e alla filosofia tedesca? Da dove ha attinto l'energia per una tale carriera, che lo ha portato fino all'abilitazione, cosa che nessun altro asiatico ha conseguito nell'ambito delle discipline umanistiche tedesche?
Han ha posto una serie di ostacoli nel gioco domanda-risposta che costituisce il fondamento di ogni ritratto giornalistico. Non solo mi ha gentilmente ma perentoriamente chiesto di spegnere il registratore e di affidarmi ai soli appunti presi a mano, si è anche rifiutato di rispondere alla mia semplice domanda sulla sua età. In Asia, spiega - in parte per vezzo, in parte scusandosi - la data di nascita di una persona ha molta meno importanza di quanta ne abbia in Occidente. Una cultura che considera il mondo come un processo che si ripete ciclicamente non affronta né la nascita né la morte pateticamente, come fa il pensiero occidentale. Niente racconti sulla genesi come in Occidente [a lezione di cinese l'insegnante mi ha parlato del caos, di un uovo e di Pángǔ], niente miti a fondamento della società. E Han è già al cuore della sua teoria della "Entschöpfung" [un suo neologismo: "decreazione"], che egli espone nel suo ultimo saggio "Shānzhai". Il neologismo cinese si può tradurre con "falso" ["prodotto contraffatto"] e designa in superficie le cose tangibili del mondo delle merci: per esempio i telefoni cellulari prodotti in Cina, che assomigliano più o meno ai loro modelli e rispondono a nomi più o meno simili come "Nokir" o "Samsing". Prodotti che si sviluppano via via in direzioni più distanti dall'originale, così che la nota marca "Adidas" dapprima è Adidos e poi diventa Adadas, Adadis, Adis ed infine Dasida.

Il significato di "contraffazione" si attaglia solo in parte a quello che in prospettiva occidentale sono efficaci appropriazioni degli originali. In fin dei conti, sostiene Han, il concetto cinese di originale non è determinato da un atto creativo estemporaneo. Non si può pensare in termini di un'identità definitiva perché tutto è sottoposto a continua trasformazione. Attraverso gli occhiali-shānzhai, l'istanza dell'unicità sembra altrettanto assurda della categoria della contraffazione. Quando per esempio si è saputo che i soldati di terracotta cinesi esposti nel 2007 dal Museo Etnologico di Amburgo non erano altro che repliche realizzate sul posto parallelamente al recupero in Cina di quelli antichi, il museo tedesco si è sentito imbrogliato e ha chiuso con sdegno la mostra. I cinesi, tuttavia, non hanno avuto la percezione di aver agito con l'inganno o di aver commesso qualcosa di vietato; ai loro occhi la pratica della copiatura si riconduceva con continuità all'antichissimo processo di produzione delle figure, che - avessero o meno una data di produzione vecchia o nuova - svolgevano comunque sempre la medesima funzione.

[...]

La parola artificiale shānzhai non designa niente altro che un metodo di decostruzione. "Shānzhai," dice Han, "è Ent-Schöpfung" e significa: prima dell'inizio del mondo occidentale, trasformato in feticcio, prima del mito, della nascita e dell'assioma filosofico, c'è sempre già qualcosa d'altro - cioè creazione ["Schöpfung"], c'è una pozza da cui attingiamo l'acqua ["schöpfen" significa anche attingere acqua]. Se abbandoniamo i concetti sclerotizzati di originalità e genio e di una creatio ex nihilo, così auspica il filosofo, potrebbe essere possibile un pensiero di gran lunga più flessibile. La filosofia potrebbe così rilassarsi in un gioco produttivo, che potrebbe farci ottenere risultati completamente nuovi. "Noi tutti dovremmo" - così richiede - "giocare di più e lavorare di meno. Allora creeremmo anche di più!" Oppure è solo per caso che i cinesi, ai quali i concetti di genio e originale sono estranei, sono responsabili di tutte le invenzioni - dalla pasta alla pirotecnica - che hanno plasmato la cultura occidentale?

[...]

martedì 26 luglio 2011

XII

Entonces estaba yo
en un bar alemán del centro de Roma
con una bebedera de cerveza y un habla
hasta por los codos de cuanto existe con una
becaria venezolana cuando de pronto
se me vino de necedades con aquello
de que “la cuestión de nuestros pueblos
se ve más clara desde Europa” pero
sus ojos eran dos culos de botella
y entonces los últimos tragos
los tomé lejos solo en Trastévere

Víctor Valera Mora
Cantares romanos, XII


Dunque me ne stavo
in un bar tedesco del centro di Roma
bevendo birra e parlando
senza sosta di quello che esiste con una
borsista venezuelana quando all'improvviso
mi son venute in mente scemate tipo quella
che “la questione dei nostri popoli
si vede più chiaramente dall'Europa” ma
i suoi occhi erano due fondi di bottiglia
e allora gli ultimi sorsi
li ho presi lontano da solo a Trastevere

lunedì 25 luglio 2011

E sei sempre tu

E sei sempre tu, hai quegli occhi nel '43
li avevi nel '17
li avevi a Solferino nel '59
sei sempre tu dalle truppe di Napoleone
di Attila di Cortez
di Cesare e Scipione
tu, disertore di professione
nascosto tra i cespugli
a spiarli mentre fanno i bisogni
per fermare la storia.
Tu, scarico della memoria.

Franco Buffoni
Guerra, Milano, 2005

(Et c'est toujours toi, t'as ces yeux-là en 1943/tu les avais en 1917/tu les avais à Solférino en 1859/c'est toujours toi des armées de Napoléon/d'Attila de Cortez/de César et de Scipion/toi, déserteur de profession/caché dans les buissons,/qui les espionnes quand ils font leur besoins/pour arrêter l'histoire./Toi, décharge de la mémoire.)

((La guerra, soprattutto quella di Napoleone, è presente dietro e sotto i nomi di molte stazioni del métro: lui stesso, dopo esser stato strappato dalla noia di Sant'Elena, si trova proprio sopra la stazione Invalides. Solférino si è meritata una stazione tutta per sé. Verdun invece, con le sue centinaia di migliaia di morti, no: ci ho pensato ieri sera, lasciando, un po' immalinconita, la Gare de l'Est, sotto il cui pannello del métro c'è scritto proprio Verdun, ma a lettere molto più piccole di quelle usate per la Gare de l'Est, il che significa che se i soldati francesi non fossero partiti per il fronte da quella stazione, per Verdun probabilmente non ci sarebbero neanche quei piccolissimi caratteri. La stazione Au déserteur non ci sarà mai da nessuna parte, se escludiamo questo blog.))

Sehr verehrte Damen und Herren, alle fünf Sekunden

Originariamente il sociologo svizzero Jean Ziegler avrebbe dovuto tenere il discorso di apertura del festival di Salisburgo di quest'anno. A causa della sua presunta vicinanza con il despota libico Gheddafi, gli è stato però ritirato l'invito. Ciò nonostante, Ziegler ha scritto il suo discorso. Il sito sueddeutsche.de ne documenta il testo.

*
Buongiorno, 
il testo di Jean Ziegler qui tradotto e pubblicato per intero è protetto da diritto d'autore e non può assolutamente essere pubblicato senza autorizzazione. La prego di toglierlo entro oggi, 09/11/2011, altrimenti gli avvocati dei Proprietari dei diritti (Ecowin Verlag, Austria) dovranno prendere i dovuti provvedimenti. Grazie per la collaborazione. 
Sibylle Kirchbach
Agenzia Letteraria Internazionale, Milano


*

Buongiorno,
rimosso il 9 novembre 2011. Prego. Peccato, però.

giovedì 21 luglio 2011

Zapomniane przez wielki dzień

Ignorati dalla luce diurna, i cardi, le erbacce e i fiori campestri fiorivano a profusione, grati per la pausa che passavano a sognare a margine del tempo, ai confini del giorno infinito. Un enorme girasole, issato su un potente stelo e sofferente di ipertrofia, aspettava vestito di giallo lutto la fine dei suoi giorni, piegato sotto il fardello della propria mostruosa corpulenza. Ma le ingenue campanule di periferia e i semplici fiorellini di percalle rimanevano impotenti nelle loro inamidate camicette rosa e bianche, indifferenti alla tragedia del girasole.

Da Août (Sierpień), Les boutiques de cannelle (Sklepy Cynamonowe), traduit du polonais par Georges Lisowski.
Bruno Schulz, Oeuvres complètes, Denoël 2004

Bonus version: Augusztus.

Венецианские строфы (2), VIII

Я пишу эти строки, сидя на белом стуле
под открытым небом, зимой, в одном
пиджаке, поддав, раздвигая скулы
фразами на родном.
Стынет кофе. Плещет лагуна, сотней
мелких бликов тусклый зрачок казня
за стремленье запомнить пейзаж, способный
обойтись без меня.

Иосиф Бродский, Венецианские строфы (2), VIII, 1982

Io scrivo questi versi, seduto su una sedia bianca,
a cielo aperto, d'inverno, in giacca,
ebbro, e pronuncio frasi che allargano gli zigomi
nella lingua che è mia.
E intanto nella tazza si raffredda il caffè.
Sciaborda la laguna e tormenta con cento minimi sprazzi
lo sguardo intorbidito dall'ansia di fissare questo paesaggio
capace di fare a meno di me.

Iosif Brodskij, Strofe veneziane (2), VIII, 1982
Traduzione di Giovanni Buttafava

O piątej godzinie rano

Alle cinque del mattino - mattinata rutilante di un sole precoce - la casa era già immersa nel chiarore ardente e silenzioso dell'alba. A quest'ora solenne in cui nessuno spia - mentre al riparo delle tende di tela abbassate per le camere correva ancora il respiro fraterno dei dormienti - tutto l'edificio entrava sempre nel braciere silenzioso della sua facciata, modellata, si sarebbe detto, da palpebre chiuse sulla soavità dei sogni. Approfittando della tregua di quelle ore propizie, priva di luce, la casa, con il suo aspetto ancora assopito, con tutto il groviglio dei suoi tratti leggermente tremolanti sotto i sogni dell'ora intensa, beveva le prime luci del giorno. Ondeggiante nel chiarore, l'ombra dell'acacia sulla piazza veniva a ripetere sulla calda superficie delle palpebre, come su una tastiera, la sua piccola frase scintillante, sempre la stessa, appena lavata dalla brezza, e si sforzava, ma invano, di penetrare fin nel vivo di quel sonno dorato. Tratto dopo tratto, la tela delle tende beveva l'incendio del mattino e, inabissandosi nello sconfinato nitore, aggiungeva sempre la sua tinta di bronzo.
A quest'ora vergine, incapace di ritrovare il sonno, Papà, sovraccarico di libri, scendeva dalle scale per aprire il negozio, situato al piano terra dell'edificio. Rimaneva così in piedi un momento, immobile, gli occhi chiusi, affrontando il potente attacco della luce solare. Dolcemente, la facciata soleggiata lo assorbiva fino all'annientamento nella sua piattezza beatamente levigata e lucida. Lo spazio di un istante, e diventava un padre piatto, si incrostava nel muro e sentiva le proprie mani tiepide e vibranti diventare ramoscelli, rapprendersi tra gli ornamenti in stucco del muro. (Quanti padri - alle cinque del mattino - sono penetrati per sempre nella facciata della loro casa, nel momento stesso in cui hanno finito di scendere dall'ultimo gradino! Quanti padri sono così assurti a bigliettai perpetui della loro porta, mascheroni d'oro scolpito, la mano ancora sulla maniglia, il viso decomposto in solchi dolcemente paralleli, ritrovati più tardi uno ad uno dalle dita che accarezzano i loro figli che ne elemosinano le ultime vestigia, per sempre fusi nell'universale sorriso della facciata!) Ma presto, per un residuo di volontà, riusciva a strapparsi dal muro, a riconquistare la terza dimensione e, di nuovo uomo, liberava la porta di ferro del negozio dal suo ciarpame di chiavistelli e lucchetti.

Arditamente da La morte-saison (Martwi sezon), Le sanatorium au croque-mort (Sanatorium pod klepsydrą), traduit du polonais par Allan Kosko
Bruno Schulz, Oeuvres complètes, Denoël 2004
(In rete circola un'altra traduzione in francese che, pur essendo dello stesso traduttore, è leggermente diversa da quella del volume qui indicato.)

mercoledì 20 luglio 2011

So, jetzt kehre ich zu meinen Zahnschmerzen zurück

Prag, 6.2.1914
Mein lieber Max!

Ich sitze zuhause mit Zahnschmerzen und Kopfschmerzen.
[...]
Du hättest Musil meine Adresse gar nicht geben sollen. Was will er? Was kann er, und überhaupt jemand, von mir wollen? Und was kann er von mir haben?
So, jetzt kehre ich zu meinen Zahnschmerzen zurück.
[...]

Franz
(aus einem Brief an Max Brod)

(Robert Musil, der damals Redakteur der Neuen Rundschau war, wollte Kafka als Mitarbeiter gewinnen.) 

23. II 14
Ich fahre. Brief von Musil. Freut mich und macht mich traurig, denn ich habe nichts.
(Tagebücher)




(Die Verwandlung (nichts!) hatte Musil sehr gut gefallen, aber...)


Verehrter Herr Doktor!

In dieser Sache geschieht mir Unrecht und gewiß auch Ihnen. Die Geschichte wurde geprüft, lag genug lange in der Redaktion, um in jeder Hinsicht, auch auf die Länge hin, geprüft werden zu können und wurde schließlich bedingungslos angenommen oder vielmehr nur unter der einen von mir überreichlich erfüllten Bedingung, daß man mit der Veröffentlichung längere Zeit warten dürfe. Und jetzt nachdem auch seit dieser Annahme Monate vergangen sind, verlangt man, ich solle die Geschichte um 1/3 kürzen. Das ist unwürdig gehandelt.

Praga, 6.2.1914
Mio caro Max!

Sono a casa con il mal di denti e il mal di testa.
[...]
Non avresti dovuto dare a Musil il mio indirizzo. Cosa vuole? Cosa può volere - lui e comunque chiunque altro - da me? E cosa può avere da me?
Ecco, ora ritorno al mio mal di denti.
[...]

Franz
(da una lettera a Max Brod)

(Robert Musil, che allora era redattore della Neue Rundschau, voleva avere Kafka come collaboratore.) 

23.2.14
Parto. Lettera di Musil. Mi fa piacere e mi rende triste, perché non ho niente.
(Diari)

(A Musil era molto piaciuta La metamorfosi (niente!), ma...)

Egregio Signor Dottore!

In questa cosa si fa torto a me e sicuramente anche a Lei. La storia è stata esaminata, è rimasta abbastanza a lungo in redazione per poter essere esaminata in ogni aspetto, anche quanto a lunghezza, e alla fine è stata accettata senza condizioni o, piuttosto, solo a condizione, da me oltremodo soddisfatta, che si dovesse aspettare più a lungo per la pubblicazione. E ora, dopo che anche da questa approvazione sono passati dei mesi, si pretende che io debba accorciare la storia di 1/3. È un trattamento indegno.

Ale książki

Ale książki będą na półkach, prawdziwe istoty,
Które zjawiły się raz, świeże, jeszcze wilgotne,
Niby lśniące kasztany pod drzewem w jesieni,
I dotykane, pieszczone, trwać zaczęły
Mimo łun na horyzoncie, zamków wylatujących w powietrze,
Plemion w pochodzie, planet w ruchu.
Jesteśmy — mówiły, nawet kiedy wydzierano z nich karty
Albo litery zlizywał buzujący płomień.
O ileż trwalsze od nas, których ułomne ciepło
Stygnie razem z pamięcią, rozprasza się, ginie.
Wyobrażam sobie ziemię kiedy mnie nie będzie
I nic, żadnego ubytku, dalej dziwowisko,
Suknie kobiet, mokry jaśmin, pieśń w dolinie.
Ale książki będą na półkach, dobrze urodzone,
Z ludzi, choć też z jasności, wysokości.

Czesław Miłosz, Kroniki, Kraków 1988


Tuttavia i libri

Tuttavia i libri saranno sugli scaffali, veri esseri
che apparvero una volta, freschi, ancora umidi,
come luccicanti castagne sotto un albero in autunno,
e toccati, accarezzati, cominciarono a vivere
malgrado i fuochi all'orizzonte, i castelli esplosi,
le tribù a passo di marcia, i pianeti in moto.
Noi siamo - dicevano, persino quando le pagine
venivano strappate, o una fiamma tremolante
ne lambiva ed asportava le lettere.
Così più duraturi di noi, il cui debole calore
si raffredda con la memoria, si dissipa, svanisce.
Immagino la terra quando non ci sarò più:
e niente, nessuna perdita, ancora uno strano sfoggio,
abiti femminili, lillà coperti di rugiada, una canzone nella valle.
Tuttavia i libri saranno sugli scaffali, nati bene,
da esseri umani, ma anche da splendore, da cime.

(cfr., volendo)

martedì 19 luglio 2011

пустяк: дыра, - но небольшая

Теперь меня там нет. Означенной пропаже
дивятся, может быть, лишь вазы в Эрмитаже.
Отсутствие мое большой дыры в пейзаже

не сделало; пустяк: дыра, - но небольшая.
Ее затянут мох или пучки лишая,
гармонии тонов и проч. не нарушая.

Иосиф Бродский, Пятая годовщина (4 июня 1977)


Ora non sono più laggiù. E di questo passaggio
di stato si stupiscono, forse, solo i vasi all'Ermitage.
La mia assenza un gran buco nel paesaggio

non ha fatto; un'inezia: un buchetto, piccino.
Lo copriranno muschi e ciuffi di lichene.
Senza infrangere, a non dir altro, l'armonia dei toni.

Iosif Brodskij, Quinto anniversario (4 giugno 1977)
Traduzione di Giovanni Buttafava

Che polli che siamo

Prag, 10 VII 14

Liebe Ottla nur paar Worte in Eile vor dem Versuch zu schlafen, der in der gestrigen Nacht gänzlich mißlungen ist. Du hast mir, denke nur, mit Deiner Karte einen verzweifelten Morgen in Augenblicken erträglich gemacht. Das ist das wahre Reiben und so wollen wir es bei Gelegenheit weiter üben, wenn es Dir recht ist. Nein, ich habe niemanden sonst am abend. Von Berlin schreibe ich Dir natürlich, jetzt läßt sich weder über die Sache noch über mich etwas Bestimmtes sagen. Ich schreibe anders als ich rede, ich rede anders als ich denke, ich denke anders als ich denken soll und so geht es weiter bis ins tiefste Dunkel.

Franz

Grüße alle! Den Brief mußt Du weder zeigen, noch herumliegen lassen. Am besten Du zerreißt ihn und streust ihn in kleinen Stücken von der Pawlatsche den Hühnern im Hof, vor denen ich keine Geheimnisse habe.

Franz e Ottla a Zürau


Praga, 10.7.14

Cara Ottla solo un paio di parole di fretta prima del tentativo di dormire, che la scorsa notte è totalmente fallito. Con la tua cartolina penso che in un attimo mi hai reso sopportabile una mattina disperata. Questo è il vero scontro e così alla prima occasione bisognerebbe che ci esercitassimo ancora, se per te va bene. No, non ho nessuno da me la sera. Da Berlino ovviamente ti scriverò, ora non riesco a dire qualcosa di preciso né sulla cosa né su di me. Scrivo diversamente da come parlo, parlo diversamente da come penso, penso diversamente da come dovrei pensare e così via fino all'oscurità più profonda.

Franz

Saluti a tutti! La lettera non la devi né mostrare né lasciare in giro. Sarebbe meglio che tu la strappassi  e che ne gettassi i pezzetti dal balcone ai polli giù in cortile: per loro non ho segreti.

La cosa è lo scioglimento del fidanzamento con Felice Bauer.
Pawlatsche è termine ceco trasposto in tedesco. Si trova anche in Lettera al padre. Secondo un'etimologia popolare, deriverebbe da parvula loggia.

lunedì 18 luglio 2011

ein trauriges Stück

Kratzau, Marktplatz
Stempel (timbro): Kratzau - 25. 11. 11

Es wird Dich doch liebe Ottla interessieren, daß ich in dem Hotel zum Roß auf der andern Seite einen Kalbsbraten mit Kartoffeln und Preiselbeeren, hierauf eine Omelette gegessen und dazu und hierauf eine kleine Flasche Apfelwein getrunken habe. Unterdessen habe ich mit dem vielen Fleisch das ich bekanntlich nicht zerkauen kann, teilweise eine Katze gefüttert, teilweise nur den Boden verschweinert. Dann setzte sich die Kellnerin zu mir und wir sprachen von des »Meeres und der Liebe Wellen«(*) zu denen abends zu gehn wir unabhängig von einander uns entschlossen hatten.
Es ist ein trauriges Stück.

Ti interesserà di sicuro sapere, cara Ottla, che all'hotel zum Roß dall'altra parte ho mangiato un arrosto di vitello con patate e mirtilli rossi, e poi un'omelette e poi ho anche bevuto una piccola bottiglia di sidro. Frattanto, con la molta carne che, come sai, non riesco a masticare bene, ho in parte dato da mangiare ad un gatto, in parte imbrattato il pavimento. Poi la cameriera è venuta a sedersi da me e abbiamo parlato delle Onde del mare e dell'amore, a cui avevamo deciso di andare la sera indipendentemente l'uno dall'altro.
È un dramma triste.


* Im Theater dreimal immer ausverkauft: Des Meeres u. der Liebe Wellen: ich saß auf dem Balkon, ein allzu guter Schauspieler macht mit dem Naukleros zu viel Lärm, ich hatte mehrmals Tränen in den Augen so beim Schluß des ersten Aktes als die Augen Heros und Leanders von einander nicht los können. Hero tritt aus der Tempeltür, durch die man etwas sieht was nichts anderes als ein Eiskasten sein kann. Im zweiten Akt Wald wie in frühern Prachtausgaben, er geht ans Herz, Lianen schlingen sich von Baum zu Baum. Alles moosig und dunkelgrün. Die Hintergrundmauer des Turmgemaches kehrt an einem nächsten Abend in Miss Dudelsack wieder. Vom dritten Akt ab Niedergang des Stückes, als sei ein Feind dahinter her.
Reise nach Friedland und Reichenberg, Februar 1911

A teatro tre volte sempre tutto esaurito: Le onde del mare e dell'amore: avevo un posto in balconata, un attore troppo bravo faceva troppo rumore con Naukleros, io ebbi più volte le lacrime agli occhi, come alla fine del primo atto, quando Ero e Leandro non riescono a staccarsi gli occhi di dosso. Ero esce dalla porta del tempio, attraverso la quale si vede qualcosa che non può essere altro che una ghiacciaia. Nel secondo atto, il bosco come in precedenti edizioni di lusso va diritto al cuore, liane si attorcigliano da un albero all'altro. Tutto ricoperto di muschio e verde scuro. Il muro di fondo nella stanza della torre è riproposto la sera seguente in Miss Dudelsack. A partire dal terzo atto il declino del dramma, come se dietro ci fosse un nemico.
Viaggio a Friedland e Reichenberg, febbraio 1911

sabato 16 luglio 2011

Storia di un esergatore - 3

Diventare esergatore di professione, in fondo, a pensarci adesso, è stato un ripiego. Avrei voluto fare il catalogatore specializzato nella catalogazione delle opere letterarie che contengono riferimenti al principio di indeterminazione di Heisenberg. Da camparci per una vita intera. Mi ha trattenuto dal dare corso alla mia aspirazione l'idea che un mio apprendista, un giorno, avrebbe incluso il mio catalogo nella lista. 

venerdì 15 luglio 2011

Voroněž

Hned ve žvanivém nádražním hemžení:
rubášný muž!
Pane Osipe, dovolte, abych
setřel prach obuvi vaší.

Nedovolil.

Ludvík Kundera

Proprio nel brusio brulicante della stazione:
un uomo in un sudario!
Signor Osip, mi permetta
di toglierle la polvere dalle scarpe.

Non me lo permise.

giovedì 14 luglio 2011

Sotto il rombo degli aerei da guerra

Il paradosso del 14 luglio

Paradoxe (paradosso): anticamente paradoce; "contraddizione". Ripreso, alla fine del Medioevo, dal greco paradoxos, "contrario all'opinione comune". Cosa c'è di più paradossale della sfilata militare del 14 Luglio? Immaginiamo che una folla armata si raduni davanti ad una prigione parigina allo scopo di prenderla d'assalto e di liberarne i detenuti (esattamente quello che è successo il 14 luglio 1789). Le forze armate interverrebbero più che probabilmente per disperderla, e d'altra parte è per questo che esistono. Ed ecco che l'esercito di oggi "commemora" un evento che i suoi predecessori non erano riusciti ad impedire: un po' come se Madame Boutin guidasse un carro armato al gay pride.

Langue sauce piquante, le blog des correcteurs du Monde.fr, 14.7.2008

Magari uno pensa che sia la Francia di Sarkozy. Eh. Il 14 luglio 2011, Madame Aubry, candidata alle primarie del partito socialista per le prossime presidenziali, pensa all'esercito francese, a cui rende omaggio, e ai soldati francesi, impegnati nel mondo, che difendono con coraggio i valori della Francia.
Magari poi uno pensa che è in Europa che la memoria si è addormentata. Eh. Un allievo giapponese della mia insegnante di cinese, sempre nel luglio del 2011, sostiene che i giapponesi sono entrati in guerra per respingere (repousser) i tedeschi.
Aggiornamento del 15 luglio: Madame Joly, che si presenterà alle presidenziali per i verdi, è la sola a desiderare, per il 14 Luglio, una sfilata cittadina e non militare. È stata prontamente bacchettata a 360°.
Per ricordare i valori della Francia, hanno accompagnato i fuochi d'artificio di rito con dei pezzi tratti da commedie musicali, per la stragrande maggioranza, visto il genere, statunitensi. Il pubblico ha dimostrato di apprezzare.
Il motto Liberté, égalité, fraternité, ovvero la triade dei valori repubblicani, come si sa, è stato formulato da Robespierre. Non c'è neanche una via a lui dedicata in tutta Parigi. Lo so prima di tutto perché l'avevo verificato tempo fa cercando rue, avenue, place, ecc. (persino scala, avevo cercato) Robespierre, anche se a dire il vero un dubbio residuo m'era rimasto (e se gli avessero riservato un vicoletto o uno slarghetto? - mi chiedevo). Poi ne ho trovato conferma quando recentemente hanno dato la notizia che la richiesta del Front de Gauche di intitolargli una via è stata respinta. È il Terrore che ha impedito la dedica, è il Terrore la maggiore controversia. Nessuna controversia invece per dedicare una piazza all'imperatore Napoleone III. Place Napoléon III non è un vecchio residuo toponomastico: la piazza in questione è stata così battezzata nel 1990.
Aggiornamento del 27 luglio: oggi, con inspiegabile ritardo, ho scoperto che la linea 9 del métro di Parigi ha la stazione Robespierre, il che per un pelo non ha distrutto completamente tutto quanto scritto finora: la stazione Robespierre, anche se solo per un pelo, non rientra nel territorio del comune di Parigi. Il sentimento di aver detto complessivamente delle sciocchezze, però, rimane.

diese Stelle wollte mit dem Tagebuch nicht stimmen

Riva, Il Porto colla torre Aponale
Stempel (timbro): Riva, 18. September 1913

Heute war ich in Malcesine, wo Goethe das Abenteuer gehabt hat, das Du kennen würdest, wenn Du die »Italienische Reise« gelesen hättest, was Du bald tun sollst. Der Kastellan zeigte mir die Stelle, wo Goethe gezeichnet hat, aber diese Stelle wollte mit dem Tagebuch nicht stimmen und so konnten wir darin nicht einig werden, ebensowenig wie im Italienischen.
Grüße alle!
Franz

Oggi sono stato a Malcesine, dove Goethe ha avuto l'avventura che tu conosceresti se avessi letto Il viaggio in Italia, cosa che devi fare presto. Il castellano mi ha mostrato il posto dove Goethe ha disegnato, ma questo posto non voleva coincidere col diario e così non siamo riusciti a metterci d'accordo, né siamo riusciti a farlo in italiano.
Saluti a tutti!
Franz

mercoledì 13 luglio 2011

me estoy esperando inútilmente

   Imagino al hombre como una ameba que tira seudópodos para alcanzar y envolver su alimento. Hay seudópodos largos y cortos, movimientos, rodeos. Un día eso se fija (lo que llaman la madurez, el hombre hecho y derecho). Por un lado alcanza lejos, por otro no ve una lámpara a dos pasos. Y ya no hay nada que hacer, como dicen los reos, una es favorito de esto o aquello. En esta forma el tipo va viviendo bastante convencido de que no se le escapa nada interesante, hasta que un instantáneo corrimiento a un costado le muestra por un segundo, sin por desgracia darle tiempo a saber qué,
   le muestra su parcelado ser, sus seudópodos irregulares,
   la sospecha de que más allá, donde ahora veo el aire limpio,
   o en esta indecisión, en la encrucijada de la opción,
   yo mismo, en el resto de la realidad que ignoro
   me estoy esperando inútilmente.

   (Suite)
   Individuos como Goethe no debieron abundar en experiencias de este tipo. Por aptitud o decisión (el genio es elegirse genial y acertar) están con los seudópodos tendidos al máximo en todas direcciones. Abarcan con un diámetro uniforme, su límite es su piel proyectada espiritualmente a enorme distancia. No parece que necesiten desear lo que empieza (o continúa) más allá de su enorme esfera. Por eso son clásicos, che.
   A la ameba uso nostro lo desconocido se le acerca por todas partes. Puedo saber mucho o vivir mucho en un sentido dado, pero entonces lo otro se arrima por el lado de mis carencias y me rasca la cabeza con su uña fría. Lo malo es que me rasca cuando no me pica, y a la hora de la comezón –cuando quisiera conocer-, todo lo que me rodea está tan plantado, tan ubicado, tan completo y macizo y etiquetado, que llego a creer que soñaba, que estoy bien así, que me defiendo bastante y que no debo dejarme llevar por la imaginación.

   (Ultima suite)
   Se ha elogiado en exceso la imaginación. La pobre no puede ir un centímetro más allá del límite de los seudópodos. Hacia acá, gran variedad y vivacidad. Pero en el otro espacio, donde sopla el viento cósmico que Rilke sentía pasar sobre su cabeza, Dame Imagination no corre. Ho detto.

Julio Cortazár, Rayuela, 84

   Immagino l'uomo come un'ameba che tira pseudopodi per raggiungere ed avvolgere il proprio alimento. Ci sono pseudopodi lunghi e corti, movimenti, giri. Un giorno egli si fissa (quel che si chiama la maturità, l'uomo bello e fatto). Da un lato arriva lontano, dall'altro non riesce a vedere una lampada a due passi. E non c'è niente da fare, come dicono i colpevoli, uno è favorito di questo o di quello. In questa forma il tizio continua a vivere abbastanza convinto che non gli sfugga niente di interessante, finché un istantaneo slittamento al fianco gli mostra per un secondo, senza dargli disgraziatamente il tempo di sapere perché,
   gli mostra il suo essere a particelle, i suoi pseudopodi irregolari,
   il sospetto che più in là, dove ora vedo l'aria limpida,
   o in questa indecisione, all'incrocio dell'opzione,
   io stesso, nel resto della realtà che ignoro
   mi sto aspettando inutilmente.

   (Suite)
   Individui come Goethe non dovettero abbondare in esperienze di questo tipo. Per attitudine o decisione (il genio è eleggersi geniale e riuscirci) stanno con gli pseudopodi tesi al massimo in ogni direzione. Abbracciano un diametro uniforme, il loro limite è la loro pelle proiettata spiritualmente a distanza siderale. Non sembra che abbiano bisogno di desiderare quello che comincia (o continua) oltre la loro enorme sfera. Per questo sono classici, ecco.
   All'ameba uso nostro, lo sconosciuto si avvicina da tutte le parti. Posso sapere molto o vivere molto in un dato senso, però l'altro si avvicina dalla parte delle mie carenze e mi gratta la testa con la sua unghia fredda. Il problema è che mi gratta quando non mi prude, e all'ora del prurito  – quando vorrei conoscere - tutto quello che mi circonda è così ben piantato, così ben piazzato, così completo e massiccio ed etichettato, che arrivo a credere di aver sognato, di star bene così, di difendermi abbastanza e di non dovermi lasciare andare all'immaginazione.

   (Ultima suite)
   L'immaginazione è stata eccessivamente elogiata. La poverella non può andare un centimetro oltre il limite degli pseudopodi. Al di qua, grande varietà e vivacità. Però nell'altro spazio, dove soffia il vento cosmico che Rilke si sentiva passare sopra la testa, Dame Imagination non corre. Ho detto.

*

Vom Eise befreit sind Strom und Bäche
Durch des Frühlings holden, belebenden Blick,
Im Tale grünet Hoffnungsglück;
Der alte Winter, in seiner Schwäche,
Zog sich in rauhe Berge zurück.
Von dort her sendet er, fliehend, nur
Ohnmächtige Schauer körnigen Eises
In Streifen über die grünende Flur.
Aber die Sonne duldet kein Weißes,
Überall regt sich Bildung und Streben,
Alles will sie mit Farben beleben;
Doch an Blumen fehlts im Revier,
Sie nimmt geputzte Menschen dafür.
Kehre dich um, von diesen Höhen
Nach der Stadt zurück zu sehen!
Aus dem hohlen finstern Tor
Dringt ein buntes Gewimmel hervor.
Jeder sonnt sich heute so gern.
Sie feiern die Auferstehung des Herrn,
Denn sie sind selber auferstanden:
Aus niedriger Häuser dumpfen Gemächern,
Aus Handwerks- und Gewerbesbanden,
Aus dem Druck von Giebeln und Dächern,
Aus der Straßen quetschender Enge,
Aus der Kirchen ehrwürdiger Nacht
Sind sie alle ans Licht gebracht.
Sieh nur, sieh! wie behend sich die Menge
Durch die Gärten und Felder zerschlägt,
Wie der Fluß in Breit und Länge
So manchen lustigen Nachen bewegt,
Und, bis zum Sinken überladen,
Entfernt sich dieser letzte Kahn.
Selbst von des Berges fernen Pfaden
Blinken uns farbige Kleider an.
Ich höre schon des Dorfs Getümmel,
Hier ist des Volkes wahrer Himmel,
Zufrieden jauchzet groß und klein:
Hier bin ich Mensch, hier darf ichs sein!
Johann Wolfgang von Goethe, Faust I, 904-940

Il gelo sgombra fiume e rivi
al mite sguardo di primavera
e torna vita: la valle è verde dall'allegra speranza.
Il vecchio inverno, sfinito com'è,
s'è ritirato fra aspre montagne
e di là manda, in fuga, appena
qualche sprazzo impotente di grandine
a strisce, sui prati già rinverditi.
Ma il sole non tollera nulla di bianco:
vuole a ogni cosa dar vita e colore,
tutto si muove a esistere, a salire.
Se bene spogli di fiori, i campi
recano gente vestita a festa.
Vòltati: e giù da questi colli
guarda verso la città:
dall'arcor buio della porte esce
un brulichio multicolore.
Come sono contenti nel sole!
È la festa di Resurrezione.
Perché anche loro sono risorti:
da stanze grame di case basse,
da servitù di mestieri e di traffici,
da pressura di tetti e di cuspidi,
da vicoli fitti di calca,
da chiese solenni di tenebra
tutti sono sospinti alla luce.
Guarda, su. Guarda. Come va in fretta
la folla e si spande per orti e per campi,
come in lungo e in largo sul fiume
filano tanti gai battelli,
e come, carica che quasi affonda,
s'allontana quell'ultima barca.
Fin dai sentieri lontani dei monti
i colori delle vesti brillano.
Odo già il brusio del borgo.
Qui è paradiso vero del popolo,
felici e contenti tutti quanti.
Qui sono uomo. Qui posso esserlo.

Traduzione di Franco Fortini



Atmen, du unsichtbares Gedicht!
Immerfort um das eigne
Sein rein eingetauschter Weltraum. Gegengewicht,
in dem ich mich rhythmisch ereigne.
Einzige Welle, deren
allmähliches Meer ich bin;
sparsamstes du von allen möglichen Meeren, –
Raumgewinn.
Wieviele von diesen Stellen der Räume waren schon
innen in mir. Manche Winde
sind wie mein Sohn.
Erkennst du mich, Luft, du, voll noch einst meiniger Orte?
Du, einmal glatte Rinde,
Rundung und Blatt meiner Worte.

Rainer Maria Rilke, Sonetten an Orpheus, II, I

Respiro, tu invisibile poesia!
Spazio puro del mondo di continuo
scambiato col proprio essere. Contrappeso
in cui accado ritmicamente.
Onda unica di cui
a mano a mano sono il mare;
infinitamente più piccolo di ogni possibile mare, –
spazio conquistato.
Quanti di questi posti negli spazi sono già stati
dentro di me. Alcuni venti
sono come figli miei.
Mi riconosci, aria, tu ancora piena di luoghi un tempo miei?
Tu, una volta liscia scorza,
rotondità e foglio alle mie parole.

domenica 10 luglio 2011

An die Wäsche denke ich manchmal

Weimar, Goethes Gartenhaus, Schlafzimmer
Stempel: Prag - 2. 1. 18
(Weimar, Padiglione di Goethe, camera da letto
Timbro: Praga, 2.1.18)

Liebe Ottla, so etwa wollte ich es hören und es ist gut. Wann ich komme weiß ich noch nicht, der Direktor macht Schwierigkeiten, heute gehe ich zum Professor, vielleicht bin ich wirklich zu gesund und muß die schwere Probe der Kündigung bestehn. Geht es nicht anders, tue ich es. Wegen Oskar werde ich Dir vielleicht wirklich telegraphieren müssen, aber würdest Du dann im Geheimen eine Nacht in Prag bleiben? Ich werde es zu vermeiden suchen. - Die Phantasie von der glücklichen Mutter im Badezimmer hat mein 2ter Brief schon widerlegt. - An die Wäsche denke ich manchmal. Da sie geflickt war, muß sie, wenn sie wieder geflickt wird, in der Zwischenzeit wieder zerrissen worden sein. Kündige ich hier, werde ich auf die Wäsche nochmehr achtgeben müssen als früher. Übrigens - die Prager Zeit habe ich bisher nicht schlecht bestanden, das gibt Hoffnung.
Franz
Grüße Toni und Hr. Hermann


Cara Ottla, volevo proprio sentire qualcosa di simile: bene. Quando vengo non lo so ancora, il direttore pone delle difficoltà, oggi vado dal professore, forse sono veramente troppo sano e devo passare la difficile prova del licenziamento. Non c'è niente da fare, lo faccio. A causa di Oskar ti dovrò forse veramente telegrafare, ma resteresti una notte a Praga in segreto? Cercherò di evitarlo. - La fantasia della mamma felice nel bagno è già stata confutata dalla mia 2a lettera. - Alla biancheria, qualche volta ci penso.  Siccome era rammendata, se viene di nuovo rammendata, nel frattempo deve essere di nuovo strappata. Qui mi ritiro, dovrò badare ancora più di prima alla biancheria. A proposito: finora non ho sopportato male il periodo praghese, fa ben sperare.
Franz
Saluti a Toni e al sig. Hermann

Innerlich

Nirgends, Geliebte, wird Welt sein, als innen. Unser
Leben geht hin mit Verwandlung. Und immer geringer
schwindet das Außen. Wo einmal ein dauerndes Haus war,
schlägt sich erdachtes Gebild vor, quer, zu Erdenklichem
völlig gehörig, als ständ es noch ganz im Gehirne.
Weite Speicher der Kraft schafft sich der Zeitgeist, gestaltlos
wie der spannende Drang, den er aus allem gewinnt.
Tempel kennt er nicht mehr. Diese, des Herzens, Verschwendung
sparen wir heimlicher ein. Ja, wo noch eins übersteht,
ein einst gebetetes Ding, ein gedientes, geknietes -,
hält es sich, so wie es ist, schon ins Unsichtbare hin.
Viele gewahrens nicht mehr, doch ohne den Vorteil,
dass sie's nun innerlich baun, mit Pfeilern und Statuen, größer!

Rainer Maria Rilke
Aus der Siebenten Elegie, Duineser Elegien

La rocca del castello di Duino visto, minuto minuto, da Sistiana (cliccando sulla foto è un po' meno minuto)

Da nessuna parte, amata, sarà mondo, se non dentro di noi. Il nostro
vivere procede per metamorfosi. E sempre più minuta
diventa la realtà, fino a sparire. Dove una volta c'era una casa sicura,
adesso si presenta solo una forma escogitata, storta, tutta
appartenente al pensabile, come se stesse ancora tutta nella mente.
Ampie riserve di forza si crea lo spirito del tempo, senza figura
come la tensione palpitante che esso da tutto ottiene.
Templi non ne conosce più. Questo spreco, del cuore,
risparmiamo più segretamente. E se sopravvive qualcosa,
una cosa una volta pregata, servita, venerata in ginocchio -,
si protende, così com'è, nell'invisibile.
Molti non la sentono più, ma senza il vantaggio
di costruirla ora interiormente, con pilastri e statue, più grande!

Rainer Maria Rilke
Dalla settima elegia, Elegie duinesi

Nota riservata a coloro che amano gli esperimenti
Esperimento n. 3 - difficoltà: media
Si ripercorra a mente, interiormente, la settima elegia visitando la basilica di San Pietro.

Esperimenti precedenti:
n. 1 - difficoltà: elevata
n. 2 - difficoltà: bassa

sabato 9 luglio 2011

I fallimenti non finiscono mai

Forze italiane di invasione della Cina, 1900

Non paga degli scarsi risultati raggiunti nei miei tentativi di imparare un po' di ungherese e, prima di questo, il russo, il finlandese e il ceco, il proseguimento del cui apprendimento continuo a rimandare sine die esattamente come faccio con il completamento della lettura di Der Mann ohne Eigenschaften, mi sono iscritta ad un corso di cinese. Pur sembrandomi già una specie di meraviglia il fatto che il mio francese venga compreso perfettamente dall'insegnante cinese e viceversa, credo che i progressi saranno tanto lenti quanto numerose le digressioni: nel corso delle prime ore di lezione ci siamo già perse in Mongolia, tra le calli di Venezia, nella Cina di Marco Polo e sui balconi dell'amore (o della bellezza) della Venezia cinese (Sūzhōu) per finire nell'estate del 1900, realizzando che quella che per lei è la guerra delle 8 nazioni per me è (ma ora direi: era solamente) la rivolta dei boxer, il che illumina meglio di mille esempi il modo in cui viene insegnata e trasmessa la storia ovunque, ognuno considerandosi, di volta in volta, al centro del mondo (che, parlando di Cina - paese di mezzo -, casca pure a fagiolo).


Troops of the Eight nations alliance of 1900. Left to right: Britain, United States, Russia, British India, Germany, France, Austria-Hungary, Italy, Japan.

Muito mais nossos amigos que nós seus

La lettera(1) di Pero Vaz de Caminha al re Manuele I del Portogallo è una preziosa testimonianza dell'arrivo dei portoghesi in Brasile nel 1500. Essendo un rapporto destinato al re, contiene, per forza di cose, delle osservazioni che con non felice linguaggio odierno potremmo chiamare politicamente corrette oppure, non so se più felicemente, conformiste ed ossequiose. Vi si può dunque leggere il resoconto di come i portoghesi, appena arrivati, vi celebrarono la prima messa e vi eressero la prima croce, alcune descrizioni dell'aspetto e dei costumi dei brasiliani quando ancora non sapevano di essere tali (la nudità dei loro corpi, l'osso o il legno infilato in un foro praticato nel labbro inferiore, i copricapi di piume di uccello colorate, le capanne in grado di accogliere grandi nuclei familiari, il cibo), del loro atteggiamento pacifico (deponevano sempre arco e frecce a terra quando i portoghesi facevano loro cenno di farlo), aperto e rassicurante per l'avvenire del Portogallo, tanto da generare una ferma fiducia nella possibilità di convertirli alla santa fé católica, e dei primi scambi di doni avvenuti durante quei primi contatti.
Vi si trovano però anche alcune osservazioni che ai miei occhi sembrano più spontanee, come ad esempio l'incredulità del portoghese rispetto al fatto che i brasiliani non apprezzassero il vino che veniva loro offerto e, a mo' di contraltare, la sicurezza con cui contava che col tempo ci avrebbero preso l'abitudine ed il gusto, e soprattutto il frequente rilevare la loro totale assenza di malizia e la loro bellezza fisica, nonché una vera e propria perla. Questa:




Enquanto ali, este dia, andaram, sempre ao som dum tamborim nosso dançaram e bailharam com os nossos, em maneira que são muito mais nossos amigos que nós seus.

Finché furono con noi, quel giorno, non smisero di danzare e ballare con noi al suono del tamburino, di modo che sono molto più amici loro nei nostri confronti che noi nei loro.


Carta de Pedro vaz caminha so-
bre o descobrimento(2) da Terra nova
q[ue] fez Pedro Alves. Feita na Ilha de
Vera Cruz em o 1.º de Maio de
1500
Gaveta 8.ª
Maço 2.º-N.º 8
Aqui esta junta huma Copia para
milhor inteligencia deste original
Transcripto do L. 13 da Reforma
dos Documentos das Gavetas a f. 43 

2. Secondo una nota in La lettre de Pero Vaz de Caminha au roi Manuel sur la découverte de la "Terre de la vrai croix", dite aussi Brésil, Chandeigne(3), 2011, descobrimento (scoperta) è parola usata a partire dal XVI secolo inoltrato. Nella lettera di Vaz de Caminha si trova invece il suo precedente (achamento), che rimase in uso fino ai primi anni del XVI secolo.
3. Grazie a Chandeigne, l'anno scorso sono riuscita ad andare in Giappone, sempre al seguito di un portoghese.