domenica 29 agosto 2010

In fondo in fondo

Il mio caro amico G. ha portato suo figlio, fin da quando questi era piccolo, nel maggior numero possibile di paesi, non per fargli vedere delle cose, che avrebbe potuto trovare tutte, seppur su scala ridotta, in Veneto, ma per fargli sentire quanto prima la maggior varietà possibile di suoni e significati. Ciò nonostante, G. ha sempre considerato i propri sforzi tanto necessari quanto vani, nella convinzione che suo figlio, come tutti, anche se si fosse aperto al mondo e se ne avesse apprezzato e rispettato le differenze, avrebbe pur sempre continuato intimamente a credere che l'unica vera lingua, il canone linguistico, la lingua con cui misurare le altre, in fin dei conti, in fondo in fondo, è sempre e solo una, il dialetto della Val d'Astico, le altre restando, nel migliore dei casi, delle varianti.

*

J’ai toujours respecté les Italiens comme nos maîtres ; mais vous avouerez que vous avez fait de fort bons disciples. Presque toutes les langues de l’Europe ont des beautés et des défauts qui se compensent. Vous n’avez point les mélodieuses et nobles terminaisons des mots espagnols, qu’un heureux concours de voyelles et de consonnes rend si sonores : los rios, los hombres, las historias, las costumbres. Il vous manque aussi les diphtongues, qui, dans notre langue, font un effet si harmonieux : les rois, les empereurs, les exploits, les histoires. Vous nous reprochez nos e muets comme un son triste et sourd qui expire dans notre bouche ; mais c’est précisément dans ces e muets que consiste la grande harmonie de notre prose et de nos vers. Empire, couronne, diadème, flamme, tendresse, victoire ; toutes ces désinences heureuses laissent dans l’oreille un son qui subsiste encore après le mot prononcé, comme un clavecin qui résonne quand les doigts ne frappent plus les touches.
Avouez, monsieur, que la prodigieuse variété de toutes ces désinences peut avoir quelque avantage sur les cinq terminaisons de tous les mots de votre langue. Encore, de ces cinq terminaisons faut-il retrancher la dernière, car vous n’avez que sept ou huit mots qui se terminent en u; reste donc quatre sons, a, e, i, o, qui finissent tous les mots italiens.
Pensez-vous, de bonne foi, que l’oreille d’un étranger soit bien flattée, quand il lit, pour la première fois, 'l capitano che ‘l gran sepolcro libero di Cristo, e che molto opro col senno e con la mano? Croyez-vous que tous ces o soient bien agréables à une oreille qui n’y est pas accoutumée? Comparez à cette triste uniformité, si fatigante pour un étranger; comparez à cette sécheresse ces deux vers simples de Corneille :

Le destin se déclare, et nous venons d’entendre
Ce qu’il a résolu du beau-père et du gendre.

Vous voyez que chaque mot se termine différemment. Prononcez à present ces deux vers d'Homere :

Ex ou dai ta prôta diastetéin erisanté
Atréides té anax andrôn, kai dios Achilleis.


Qu'on prononce ces vers devant une jeune personne, soit anglaise ou allemande, qui aura l'oreille un peu délicate : elle donnera la préférence au grec, elle souffrira le français, elle sera un peu choquée de la répétition continuelle des desinences italiennes. C'est une expérience que j'ai faite plusieurs fois.

Voltaire, Lettre à Deodati de Tovazzi, 24 janvier 1761, pages 32-39


Ho sempre rispettato gli italiani come nostri maestri; ma confesserete che ne avete fatto dei bravissimi discepoli. Quasi tutte le lingue dell'Europa hanno delle bellezze e dei difetti che si compensano.
Voi non avete le melodiose e nobili terminazioni delle parole spagnole, che un felice concorso di vocali e consonanti rende così sonore: los rios, los hombres, las historias, los costumbres. Vi mancano anche i dittonghi, che, nella nostra lingua, fanno un effetto così armonioso: les rois, les empereurs, les exploits, les histoires. Voi ci rimproverate le nostre e mute, come un suono triste e sordo, che spira nella nostra bocca; ma è precisamente in queste e mute che consiste la grande armonia della nostra prosa e dei nostri versi. Empire, couronne, diadème, flamme, tendresse, victoire; tutte queste felici desinenze lasciano nell'orecchio un suono che sussiste ancora dopo la parola pronunciata, come un clavicembalo che risuona quando le dita non battono più sui tasti.
Confessate, signore, che la prodigiosa varietà di tutte queste desinenze può avere qualche vantaggio sulle cinque terminazioni di tutte le parole della vostra lingua. E ancora da queste cinque si deve togliere l'ultima, perché voi non avete che sette od otto parole che finiscono per u; restano, dunque, quattro suoni, a, e, i o, che terminano tutte le parole italiane.
Pensate voi, in buona fede, che l'orecchio di uno straniero sia ben lusingato, quando legge, per la prima volta:


. . . . . . . . . . . e ‘l Capitano
che ‘l gran sepolcro liberò di Cristo.
Molto egli oprò col senno e con la mano?
(Torquato Tasso, Gerusalemme liberata, Canto I, vv. 1-3)

Credete voi che tutte queste o siano molto piacevoli ad un orecchio che non vi sia abituato? Paragonate a questa triste uniformità, così faticosa per uno straniero, paragonate a questa secchezza questi due semplici versi di Corneille:

Le destin se declare, et nous venons d'entendre
Ce qu'il a resolu du beau-père et du gendre.

(La Morte di Pompeo, atto I, scena 1)

Vedete che ogni parola termina diversamente. Pronunciate ora questi due versi di Omero:

Ex ou dè tà pròta diastéten erísante
Atréides te ánax andrón, kai díos Achilléus.

(Iliade, libro I, v. 6.)

Che si pronuncino questi versi davanti ad un giovane, sia inglese o tedesco, che abbia l'orecchio un po' delicato, egli preferirà il greco, soffrirà il francese, e sarà un po' urtato dalla ripetizione continua delle desinenze italiane. È un'esperienza che ho fatto più volte.

*

There are ten parts of speech, and they are all troublesome. An average sentence, in a German newspaper, is a sublime and impressive curiosity; it occupies a quarter of a column; it contains all the ten parts of speech - not in regular order, but mixed; it is built mainly of compound words constructed by the writer on the spot, and not to be found in any dictionary - six or seven words compacted into one, without joint or seam - that is, without hyphens; it treats of fourteen or fifteen different subjects, each enclosed in a parenthesis of its own, with here and there extra parentheses which re-enclose three or four of the minor parentheses, making pens within pens; finally, all the parentheses and re-parentheses are massed together between a couple of king-parentheses, one of which is placed in the first line of the majestic sentence and the other in the middle of the last line of it - after which comes the VERB, and you find out for the first time what the man has been talking about; and after the verb - merely by way of ornament, as far as I can make out, - the writer shovels in "haben sind gewesen gehabt haben geworden sein," or words to that effect, and the monument is finished.
[...]
The Germans have another kind of parenthesis, which they make by splitting a verb in two and putting half of it at the beginning of an exciting chapter and the other half at the end of it. Can any one conceive of anything more confusing than that? These things are called "separable verbs". The German grammar is blistered all over with separable verbs; and the wider the two portions of one of them are spread apart, the better the author of the crime is pleased with his performance. A favorite one is reiste ab, - which means, departed. Here is an example which I culled from a novel and reduced to English:
"The trunks being now ready, he DE- after kissing the mother and sisters, and once more pressing to his bosom his adored Gretchen, who, dressed in simple white muslin, with a single tube-rose in the ample folds of her rich brown hair, had totere feebly down the stairs, still pale from the terror and excitement of the past evening, but longing to lay her poor aching head yet once again upon the breast of him whom she loved more dearly than life itself, PARTED."
However, it is not well to dwell too much on the separable verbs. One is sure to lose his temper early; and if he sticks to the subject, and will not be warned, it will at last either soften his brain or petrify it. Personal pronouns and adjectives are a fruitful nuisance in this language, and should have been left out. For instance, the same sound, sie, means you, and it means she, and it means her, and it means it, and it means they, and it means them. Think of the ragged poverty of a language which has to make one word do the work of six, - and a poor little weak thing of only three letters at that. But mainly, think of the exasperation of never knowing which of these meanings the speaker is trying to convey. This explains why, whenever a person says sie to me, I generally try to kill him, if a stranger.

Mark Twain, The awful German language, Manuscriptum Verlagsbuchhandlung, 2007


Ci sono dieci parti del discorso, e sono tutte fastidiose. Una frase media, in un quotidiano tedesco, è una curiosità sublime e straordinaria; occupa un quarto di una colonna; contiene tutte le dieci parti del discorso - non in ordine regolare, ma mischiato; è costituita principalmente da parole composte costruite dallo scrittore estemporaneamente, che non si trovano in alcun dizionario - sei o sette parole compattate in una, senza giunzione o saldatura - cioè senza tratto d'unione; tratta quattordici o quindici diversi argomenti, ciascuno racchiuso in una propria parentesi, con qua e là ulteriori parentesi che riracchiudono tre o quattro delle parentesi minori, facendo penne con penne; infine, tutte le parentesi e le riparentesi sono ammassate assieme tra una coppia di parentesi regine, una delle quali è posta nella prima riga della maestosa frase e l'altra nel mezzo della sua ultima riga - dopo di cui arriva il VERBO, e si scopre per la prima volta di cosa lo scrittore abbia parlato; e dopo il verbo - solo ad ornamento, per quanto ne possa capire - lo scrittore se ne esce con un "haben sind gewesen gehabt haben geworden sein" o con parole aventi lo stesso effetto, e il monumento è terminato.
[...]
I tedeschi hanno un altro tipo di parentesi, che costruiscono separando un verbo in due e mettendone la metà all'inizio di un emozionante capitolo e l'altra metà alla sua fine. Si può concepire qualcosa che confonda più di questo? Queste cose sono chiamate "verbi separabili". La grammatica tedesca è completemente ricoperta dalle pustole dei verbi separabili; e più le due parti sono poste a distanza, più l'autore del crimine è compiaciuto della propria prestazione. Una forma preferita è reiste ab - che significa partì. Ecco un esempio che ho tratto da un romanzo e reso in inglese:
"The trunks being now ready, he DE- after kissing the mother and sisters, and once more pressing to his bosom his adored Gretchen, who, dressed in simple white muslin, with a single tube-rose in the ample folds of her rich brown hair, had totere feebly down the stairs, still pale from the terror and excitement of the past evening, but longing to lay her poor aching head yet once again upon the breast of him whom she loved more dearly than life itself, PARTED."
Tuttavia, non è bene indugiare troppo sui verbi separabili. Si è sicuri di perdere le staffe presto; e se ci si attiene al soggetto senza ricevere precauzioni, il cervello o si rammollisce o si pietrifica. I pronomi personali e gli aggettivi sono una feconda seccatura in questa lingua e dovrebbero essere omessi. Ad esempio, lo stesso suono, sie, significa voi, e significa lei, e significa le, e significa esso, e significa essi, e significa loro. Pensate alla povertà cenciosa di una lingua che deve far fare ad una parola il lavoro di sei - e questo ad un piccolo, debole esserino di sole tre lettere. Ma soprattutto, pensate all'esasperazione di non sapere mai quali di questi significati l'interlocutore stia cercando di veicolare. Questo spiega perché ogni qual volta qualcuno mi dice sie, generalmente cerco di ucciderlo, se un estraneo.

*

Die Franzosen, inklusive der Akademien, gehn mit der griechischen Sprache schändlich um: sie nehmen die Worte derselben herüber, um sie zu verunstalten: sie schreiben z. B. etiologie, esthétique usw.; während gerade nur im Französischen das ai so ausgesprochen wird wie im Griechischen; ferner bradype (Bradipus, Faultier), Œdipe, Andromaque u. dgl. mehr, d.h. sie schreiben die griechischen Wörter wie ein französchischer Bauernjunge, der sie aus fremdem Munde aufgeschnappt hätte, sie schreiben würde. Es würde doch recht artig lassen, wenn die französischen Gelehrten sich wenigstens so stellen wollten, als verständen se Grieschisch. Nun aber zugunsten eines so ekelhaften Jargons, wie der französische (dieses auf die widrigste Weise verdorbene Italienisch mit den langen, scheußlichen Endsilben und dem Nasal) an sich selbst genommen ist, die edle griechische Sprache frech verhunzen zu sehn ist ein Anblick, wie wenn die große westindische Spinne einen Kolibri oder eine Kröte einen Schmetterling frißt. Da nun die Herrn von der Akademie sich stets gegenseitig mon illustre confrère titulieren, welches durch den gegenseitigen Reflex besonders von weitem einen imposanten Effekt macht; so ersuche ich die illustres confrères; die Sache einmal in Überlegung zu nehmen - also entweder die griechische Sprache in Ruhe zu lassen und sich mit ihrem eigenen Jargon zu behelfen oder die griechischen Worte zu gebrauchen, ohne sie zu verhunzen; um so mehr, als man bei ihrer Verzerrung derselben oft viel Mühe hat, das dadurch ausgedrückte griechische Wort zu erraten und so den Sinn des Ausdrucks zu enträtseln. Hieher gehört auch das bei den französischen Gelehrten übliche höchst barbarische Zusammenschmelzen eines griechischen mit einem lateinischen Wort: Pomologie (Obstkunde). Dergleichen, meine illustres confrères, riecht nach Barbiergesellen. Berechtigt zu dieser Rüge bin ich vollkommen: denn die politischen Grenzen gelten in der Gelehrten-Republik sowenig wie in der physischen Geographie, und die der Sprachen sind nur für Unwissende vorhanden; Knoten aber sollen in derselben nicht geduldet werden.

Arthur Schopenhauer, Parerga und Paralipomena, 2bis



I francesi, incluse le accademie, trattano vergognosamente la lingua greca: ne estraggono le parole per rovinarle: scrivono ad es. etiologie, esthétique ecc., mentre è proprio solo in francese che ai viene pronunciato come in greco; inoltre, bradype (bradipo), Œdipe, Andromaque e altri simili termini, cioè trascrivono i termini greci come li scriverebbe un giovane villano francese che li avesse rimasticati da una bocca straniera. Sarebbe veramente bene se gli studiosi francesi volessero almeno far finta di capire il greco. Ora però è uno spettacolo da vedere quello di un gergo così ripugnante, come quello francese preso in se stesso (questo italiano corrotto nel peggiore dei modi con delle sillabe finali mostruose e nasali), che deturpa sfrontatamente la nobile lingua greca, uno spettacolo come quello del grande ragno delle Indie Occidentali che mangia un colibrì o quello del rospo che mangia una farfalla. E siccome i signori dell'Accademia si rivolgono sempre reciprocamente col titolo di mon illustre confrère, il che specialmente da lontano fa un imponente effetto grazie al riflesso reciproco, chiedo agli illustres confrères di prendere una buona volta la cosa in considerazione - insomma o di lasciare in pace la lingua greca e di accontentarsi del proprio gergo o di usare i termini greci senza deturparli; e ciò tanto più perché a causa della sua deformazione spesso ci si deve sforzare molto per indovinare una parola greca pronunciata da loro e così decifrarne il senso dell'espressione. A questo appartiene anche la barbarica fusione, così usuale presso gli studiosi francesi, di un termine greco con uno latino: pomologie (fruttologia). Cose simili, miei illustres confrères, sanno di lavoro da barbiere. Ho tutte le ragioni di muovere tale rimprovero, perché i confini politici nella Repubblica degli studiosi valgono ancora meno che nella geografia fisica, e quelli delle lingue esistono solo per gli ignoranti; gli zotici però, nella stessa Repubblica, non possono essere tollerati.


*

Sarà probabilmente un caso, ma i poeti sembrano quelli in grado di prendere più spesso delle deviazioni dalla strada che conduce sempre e solo alla val d'Astico.

*

In sheer number of words, English is far richer than Russian. This is especially noticeable in nouns and adjectives. A very bothersome feature that Russian presents is the dearth, vagueness, and clumsiness of technical terms. For example, the simple phrase "to park a car" comes out - if translated back from the Russian - as "to leave an automobile standing for a long time." Russian, at least polite Russian, is more formal than polite English. Thus, the Russian word for "sexual"- polovoy - is slightly indecent and not to be bandied around. The same applies to Russian terms rendering various anatomical and biological notions that are frequently and familiarly expressed in English conversation. On the other hand, there are words rendering certain nuances of motion and gesture and emotion in which Russian excels. Thus by changing the head of a verb, for which one may have a dozen different prefixes to choose from, one is able to make Russian express extremely fine shades of duration and intensity. English is, syntactically, an extremely flexible medium, but Russian can be given even more subtle twists and turns. Translating Russian into English is a little easier than translating English into Russian, and 10 times easier than translating English into French.

Vladimir Nabokov, Playboy, 1964, pages 10-23

In termini di puro numero di parole, l'inglese è di gran lunga più ricco del russo. Lo si può notare nei sostantivi e negli aggettivi. Una caratteristica molto fastidiosa che presenta il russo è la scarsità, la vaghezza e la goffaggine dei termini tecnici. Per esempio, la semplice frase "parcheggiare una macchina" diventa - se tradotta dal russo - qualcosa come "lasciar stare un'automobile per molto tempo". Il russo, almeno il russo raffinato, è più formale dell'inglese raffinato. Così, la parola russa "sessuale"- polovoy - è leggermente indecente e non va pronunciata a caso. Lo stesso vale per i termini russi che rendono varie nozioni anatomiche e biologiche espresse di frequente e familiarmente nella conversazione in inglese. D'altro canto, ci sono parole che restituiscono certe sfumature di moto, azione ed emozione in cui il russo eccelle. Così, cambiando il prefisso di un verbo tra le decine di prefissi a disposizione, si può far esprimere al russo gradazioni molto fini di durata e intensità. L'inglese, dal punto di vista sintattico, è un mezzo estremamente flessibile, ma si può sottoporre il russo a torsioni e giravolte ancora più sottili. Tradurre il russo in inglese è un po' più semplice che tradurre l'inglese in russo, e 10 volte più semplice che tradurre l'inglese in francese.

*

Tra i poeti, ve ne sono che ad una o più lingue straniere hanno dedicato direttamente una poesia.

*
Al idioma alemán

Mi destino es la lengua castellana,
El bronce de Francisco de Quevedo,
Pero en la lenta noche caminada,
Me exaltan otras músicas más íntimas.
Alguna me fue dada por la sangre-
Oh voz de Shakespeare y de la Escritura-,
Otras por el azar, que es dadivoso,
Pero a ti, dulce lengua de Alemania,
Te he elegido y buscado, solitario.
A través de vigilias y gramáticas,
De la jungla de las declinaciones,
Del diccionario, que no acierta nunca
Con el matiz preciso, fui acercándome.
Mis noches están llenas de Virgilio,
Dije una vez; también pude haber dicho
de Hölderlin y de Angelus Silesius.
Heine me dio sus altos ruiseñores;
Goethe, la suerte de un amor tardío,
A la vez indulgente y mercenario;
Keller, la rosa que una mano deja
En la mano de un muerto que la amaba
Y que nunca sabrá si es blanca o roja.
Tú, lengua de Alemania, eres tu obra
Capital: el amor entrelazado
de las voces compuestas, las vocales
Abiertas, los sonidos que permiten
El estudioso hexámetro del griego
Y tu rumor de selvas y de noches.
Te tuve alguna vez. Hoy, en la linde
De los años cansados, te diviso
Lejana como el álgebra y la luna.

Jorge Luis Borges

Alla lingua tedesca

Il mio destino è la lingua spagnola,
Il bronzo di Francisco de Quevedo,
Ma nella lenta notte camminata,
Mi esaltano altre musiche più intime.
Una mi è stata data dal sangue –
Oh voce di Shakespeare e della Scrittura! –,
Altre dal caso, che è generoso,
Ma te, dolce lingua di Germania,
Ti ho scelta io e cercata, solitario.
Attraverso veglie e grammatiche,
La giungla delle declinazioni,
Col dizionario, che non accerta mai
La sfumatura precisa, mi sono avvicinato.
Le mie notti sono piene di Virgilio,
Ho detto una volta; avrei anche potuto dire
Di Hölderlin e di Angelus Silesius.
Heine mi ha dato i suoi alti usignoli;
Goethe, la sorte di un amore tardivo,
al contempo indulgente e mercenario;
Keller, la rosa che una mano lascia
Nella mano di un morto che l'amava
E che non saprà mai se è bianca o rossa.
Tu, lingua di Germania, sei la tua opera
Capitale: l'amore intrecciato
Delle voci composte, le vocali
Aperte, i suoni che permettono
Lo studioso esametro del greco
E il tuo rumore di selve e di notti.
Ti ho avuta qualche volta. Oggi, al confine
Degli anni affaticati, ti scorgo
Lontana come l'algebra e la luna.

*

Se posso esprimere il mio pensiero in modo forse leggermente succinto, ma sicuramente sincero, a me piacciono tutte, le lingue, incluse quelle che non conosco e che non conoscerò mai. Se poi posso anche azzardare, e qui si può fare, non appartengo a coloro che credono in una Ursprache, in una lingua primigenia, se non altro perché mi piace pensare che la sera del giorno stesso in cui il primo uomo ha pronunciato la prima parola, in quella fase precedente al sonno in cui, coricati, si lasciano vagare i propri pensieri, abbia provato subito a cambiarla, variarla e deformarla, insomma, a giocarci.

*

Gioachino Rossini, Inno tedesco et al., Il viaggio a Reims, 1825 (libretto)

sabato 28 agosto 2010

Me son vissúo

Me son vissúo
favelando co' i nuòli,
barche lontan dai moli
su l'urizonte de velúo.

E son vissúo sognando
isole e rade
de là del mar più grando,
el mare sensa strade.

Cussí son arivào
ai cunfini del mondo,
de là del mar profondo
sempre solo sognào.

Biagio Marin, A le fose (1984), Poesie, Garzanti, 1999



J'ai vecu
en parlant avec les nuages,
les bateaux loin des môles
sur l'horizon de velours.

Et j'ai vecu en rêvant
d'îles et de rades
au-delà de la mer plus grande,
la mer sans routes.

Ainsi je suis arrivé
au bout du monde,
au-delà de la mer profonde
toujours seulement rêvée.




Fra le guerre e le vittorie

mercoledì 25 agosto 2010

La gioia e la disgrazia

Cervantes si rivolge, scherzando, al tipo di lettore a cui ha destinato il libro. Lo chiama "desocupado lector". E queste due parole costituiscono, per i traduttori e interpreti, il primo problema del libro.
Vediamo cosa succede nelle due traduzioni italiane che ho sotto mano. Ferdinando Carlesi traduce: "Lettore beato, che non hai nulla da fare", ma spiega, e lo dice in una nota, che otto parole per tradurne due sono troppe. Però ne troviamo 10 nella traduzione di Vittorio Bodini: "lettore mio, che non hai nulla di meglio da fare". Orbene, ora io ammetto di essere un fanatico della traduzione interlineare o, per così dire, calcata. Per questo tradurrei, attenendomi il più possibile al testo, "disoccupato lettore" o, volendo essere un po' più ricercato, "ozieggiante lettore", poiché l'ozio sarà magari il padre di tutti i vizi (in realtà, non di tutti), ma anche di qualche virtù. Cervantes si rivolge a un lettore che sappia leggere con gioia. Desocupado: vale a dire capace di essere occupato dalla gioia della lettura, e di essere molto occupato, poiché la gioia che dà la lettura del Quijote è impregnata di mistero, di un mistero che aumenta la gioia. Volete che Cervantes non lo sapesse, di aver scritto un libro gioioso e misterioso?

Leonardo Sciascia, Desocupado lector, El País, 26 dicembre 1984
(è un articolo molto più ricco di quello che non lasci intravvedere il passaggio scelto qui: per questo, mi permetto di invitare il lettore disoccupato, o almeno quello poco occupato, a leggerlo per intero e a scusarmi se non ho trovato l'intero articolo originale)
William Wordsworth, The Prelude, Book second
Jorge Luis Borges, Obras Completas, Tomo II, Siete Noches, La Pesadilla, pagg. 221-231
Jorge Luis Borges, Ficciones, Pierre Menard, autor del Quijote, pagg. 20-25
E.M. Forster, Selected stories, Co-ordination


*


Marinero soy de amor

Marinero soy de amor,
y en su piélago profundo,
navego sin esperanza
de llegar a puerto alguno.

Siguiendo voy a una estrella
que desde lejos descubro,
más bella y resplandeciente
que cuantas vió Palinuro.

Yo no sé adónde me guía
y, así, navego confuso,
el alma a mirarla atenta,
cuidadosa y con descuido.

Miguel De Cervantes


Marinaio sono d'amore,
e nel suo pelago profondo,
navigo senza speranza
di arrivare ad alcun porto.

Vado seguendo una stella
che da lontano intravvedo,
più bella e risplendente
di quante ne vide Palinuro.

Io non so dove mi guida
e, così, navigo confuso,
l'anima intenta a mirarla,
ora attenta, ora distratta.

*

Ich glaube, man sollte überhaupt nur solche Bücher lesen, die einen beißen und stechen. Wenn das Buch, das wir lesen, uns nicht mit einem Faustschlag auf den Schädel weckt, wozu lesen wir dann das Buch? Damit es uns glücklich macht, wie Du schreibst? Mein Gott, glücklich wären wir eben auch, wenn wir keine Bücher hätten, und solche Bücher, die uns glücklich machen, können wir zur Not selber schreiben. Wir brauchen aber die Bücher, die auf uns wirken wie ein Unglück, das uns sehr schmerzt, wie der Tod eines, den wir lieber hatten als uns, wie wenn wir in Wälder verstoßen würden, von allen Menschen weg, wie ein Selbstmord, ein Buch muss die Axt sein für das gefrorene Meer in uns. Das glaube ich.

Franz Kafka, Brief an Oskar Pollak, 27. Januar 1904

Penso si debbano leggere solo i libri che mordono e pungono. Se il libro che leggiamo non ci sveglia con un pugno sul cranio, a quale scopo leggiamo allora il libro? Affinché ci renda felici, come scrivi tu? Dio mio, saremmo felici anche se non avessimo libri, e questi libri che ci rendono felici possiamo scriverli noi stessi, se del caso. Ma abbiamo bisogno di libri che agiscano su di noi come una disgrazia che ci fa molto male, come la morte di qualcuno che abbiamo amato più di noi stessi, come se fossimo messi al bando nei boschi, lontano da tutti gli uomini, come un suicidio - un libro deve essere la scure per il mare gelato in noi. Questo, credo.

Franz Kafka, Lettera a Oskar Pollak, 27 gennaio 1904

*

Popout
Wim Wenders, Der Himmel über Berlin, 1987


Stanley Kubrick, Lolita, 1962


François Truffaut, Fahrenheit 451, 1966


Peter Greeenaway, Prospero's books, 1991


Jirí Menzel, Ostře sledované vlaky, 1966


Pier Paolo Pasolini, La ricotta, 1963


Claude Chabrol, Les biches, 1968

Rouben Mamoulian, Queen Christina, 1933


Woody Allen, Bananas, 1971

domenica 22 agosto 2010

Erba

Déjà je pressentais
Qu’un jour, à cause de toi

La joie pourrait venir
D’un seul brin d’herbe

Même de moins.

Guillevic, Trouées: poèmes, 1973-1980


Not that the grass itself
Ever rests in peace.

It too takes issue,
Now sets its face

To the wind
Now turns its back.

Seamus Heaney, Human chain, 2010


Terrence Malick, The thin red line, 1998 (What's this war in the heart of nature? Why does nature vie with itself? The land contend with the sea? Is there an avenging power in nature? Not one power, but two?)

sabato 21 agosto 2010

Der größte Wunsch ist auf der Erde zu bleiben - so schön wie hier kanns im Himmel gar nicht sein*

Aveva un'immaginazione fuori dal comune, che ha espresso in moltissime delle sue opere a teatro e al cinema, aveva ancora almeno altrettanti progetti da realizzare, prima di ogni altro quello di restare qui (*il più grande desiderio è restare sulla terra: così bello come qui, in cielo non può essere), amava la sua compagna e amava la musica.

Si è interrogato senza requie, come tutte le persone che si pongono delle domande e trovano nella ricerca e non necessariamente nella risposta alle domande la propria ragione di vita, sul tema della violenza.

Mi sembra avesse sorprendenti punti in comune, nonostante la differenza generazionale, con Heiner Müller, di cui in questo blog si può trovare qualche traccia. Era attivissimo, ma, nonostante il suo gran darsi da fare - raccontava sorridendo - sua madre pensava che in fin dei conti non avesse girato che dei documentari e - aggiungo io - le persone povere di immaginazione o di vocabolario lo hanno spesso definito e con tutta probabilità continueranno a definirlo un provocatore.

In realtà, credo fosse molto più conservatore di quanto si tenda generalmente a pensare e, sebbene abbia usato le modalità ed i mezzi di espressione i più diversi, credo fosse non tanto un artista totale in senso convenzionale  (non ci credeva nemmeno lui, alla definizione di Gesamtkünstler), wagneriano (e della messa in scena di Wagner, non a caso, si è occupato), quanto piuttosto nel senso che, pur non avendo brillato in ogni sua singola opera, il suo splendore mi pare riesca a rilucere appieno nella visione d'insieme di tutto quello che, nel corso della sua ricerca (e dico tutto, errori compresi), ha realizzato o ha lasciato solo intravvedere.

Questo è un tentativo di dire idealmente grazie a Christoph Schlingensief.

Oranžni zvezki

Ni več zvezkov z oranžnimi platnicami
v izložbah papirnic.
Fotografije Pariza, psov in Garfielda
zrejo vame.

Kam zdaj šolarji rišejo smešne pajace,
motorje in boksarje?
Kam zapisujejo mantre
pravkar naučene angleške besede?

Za mojo sošolko
je bil oranžni zvezek vrt,
v katerem je gojila raznobarvne rože.
Ena ga je okrasila s slapom barvastih zvezd.

Minevanje časa
se kot mlečna kislina gosti
v mojih mišicah.
Staram se.

Podmorski svet z ribami in rakovico,
ki sva ga narisala z Luko,
je izginil.
Izginile so karikature neznancev.

Občutek imam,
kot da sem ob zadnjem zvonjenju šolskega zvonca
skočil izza klopi
in za zmerom obvisel v zraku.

In noge so mi zabingljale v prazno.

Peter Semolič


Quaderni arancioni

Non ci sono più i quaderni con le copertine arancioni
nelle vetrine delle cartolerie.
Le foto di Parigi, dei cani e di Garfield
mi osservano.

Dove disegnano, ora, gli scolari, i ridicoli pagliacci,
le motociclette e i pugili?
Dove annotano, come fossero mantra,
le parole inglesi appena apprese?

Per una mia compagna di scuola
il quaderno arancione era l'orto
in cui coltivava fiori multicolori.
Un'altra l'ha decorato con una cascata di stelle colorate.

Il passare del tempo
s'addensa come acido lattico
nei miei muscoli.
Invecchio.

Il mondo sottomarino con i pesci e il granchio,
che ho disegnato con Luka,
è svanito.
Svanite sono le caricature di persone sconosciute.

Ho come la sensazione
di aver saltato, nel momento in cui suonava per l'ultima volta
la campanella, oltre il banco
e di essere rimasto sospeso per sempre nell'aria.

Ed i piedi penzolavano nel vuoto.

Nuova poesia slovena, traduzione di Michele Obit, ZTT EST, Trieste, 1998


Emir Kusturica, Sjećaš li se Doli Bel?, 1981

venerdì 20 agosto 2010

Fratelli

L'Alba, giornale fondato dal messinese Giuseppe La Farina nel giugno del 1847 e stampato a Firenze, usciva "tutti i giorni, meno i lunedì di ogni settimana, e i giorni successivi alle solennità". Un numero costava 5 soldi. Il prezzo dell'associazione a tre mesi costava 11 lire fiorentine (nel resto della Toscana e nel resto d'Italia franco al destino 13), da pagarsi anticipatamente.

L'Alba, nella sua brevissima vita, sostenne idee unitarie, democratiche e radicali.

Nel giugno del 1848 ricevette una proposta da un nuovo giornale straniero, che accettò.
Signore, 
sotto il titolo della Nuova Gazzetta Renana (Neue Rheinische Zeitung) e sotto la direzione del sig. Carlo Marx si pubblica fin dal primo giugno prossimo futuro un nuovo giornale quotidiano in questa città di Colonia. Questo giornale seguirà, nel nostro settentrione, i medesimi principi democratici che L'Alba rappresenta in Italia. Non può dunque essere dubbiosa la posizione che prenderemo relativamente alla questione pendente fra l'Italia e l'Austria. Difenderemo la causa dell'indipendenza italiana, combatteremo a morte il dispotismo austriaco in Italia, come in Germania e in Polonia. Tendiamo fraternamente la mano al popolo italiano e vogliamo provargli che il popolo tedesco si rifiuta di prendere parte all'oppressione esercitata su di voi dagli stessi uomini che da noi hanno sempre combattuto la libertà. Vogliamo fare tutto il possibile per preparare l'unione e la buona intelligenza di due grandi e libere nazioni che un nefasto sistema di governo ha fatto credersi finora nemiche l'una dell'altra. Domandiamo dunque che la brutale soldatesca austriaca sia senza ritardo ritirata dall'Italia, e che il popolo italiano sia messo nella posizione di poter pronunziare la sua volontà sovrana rispettando la forma di governo che vuole scegliere. Per metterci nella condizione di conoscere gli affari italiani e per darvi l'occasione di giudicare della sincerità delle nostre promesse, vi proponiamo di cambiare il vostro giornale con il nostro; cosicché vi indirizziamo la Nuova Gazzetta Renana e voi ci indirizzerete L'Alba regolarmente ogni giorno. Ci lusinghiamo che vi piacerà accettare questa proposta e vi preghiamo di cominciare l'invio de L'Alba il più presto possibile, finché possiamo profittarne già per i primi nostri numeri. Se si trovasse che aveste altre comunicazioni da indirizzarci, vi invitiamo di farlo, promettendovi che tutto quello che può servire la causa della democrazia, nell'uno o nell'altro paese, troverà, da parte nostra, sempre tutta l'attenzione possibile.
Salute e fraternità 
La direzione della Nuova Gazzetta Renana
II Direttore: dott. Carlo Marx
Pubblicata su L'Alba n. 258, 29 giugno 1848

Storia d'Italia. Dal primo Settecento all'Unità: l'Illuminismo e il Risorgimento, Einaudi, 2005

*

Qualche giorno dopo, sulla Nuova Gazzetta Renana apparve questo:
Abbiamo un nuovo testimone di quell'atteggiamento (amico nei confronti della Germania, ndf) davanti ai nostri occhi, una lettera privata del consiglio d'amministrazione del giornale pubblicato a Firenze L'Alba alla redazione della Neue Rheinische Zeitung. È datata 20 giugno e recita tra l'altro così:
"... Vi ringraziamo di cuore per l'attenzione che prestate nei confronti della nostra povera Italia. Assicurandovi sinceramente che tutti gli italiani sanno chi attenta alla loro libertà e la attacca e che il loro nemico più mortale non è il potente e generoso popolo tedesco quanto il suo dispotico, ingiusto e crudele governo; assicurandovi che ogni vero italiano attende spasmodicamente il momento in cui, libero, potrà dare la mano al fratello tedesco, che, una volta che si siano stabiliti i suoi diritti inalienabili, saprà difenderli e rispettarli esso stesso e assicurare che tutti i suoi fratelli li rispettino, confermando la nostra fiducia nei principi cui voi dedicate attento sviluppo, firmiamo con la massima stima 
I vostri devoti amici e fratelli
(firmato) L. Alinari"
L'Alba è uno dei pochi fogli in Italia che rappresenti con decisione principi democratici. 
Scritto da Friedrich Engels 
Neue Rheinische Zeitung n. 33, 3 luglio 1848

*

Firenze, Basilica di Santa Croce, basamento del monumento dedicato a Giuseppe La Farina

Dignità

Autore : La voix des Rroms
50, rue des Tournelles
75003 Parigi

La voix des Rroms è un'associazione senza finalità di lucro secondo la legge del 1901 che opera perché si riconosca la dignità del popolo romani (rom, gitani e sinti).

All'attenzione del Sig. Presidente della Repubblica francese e del Sig. Primo ministro

Dopo la dichiarazione di "guerra" da parte di Nicolas Sarkozy in un comunicato "sulle genti del viaggio e sui rom",
Dopo la definizione delle modalità di questa guerra nell'ambito di uno stato maggiore riunito all'Eliseo il 28 luglio sotto l'autorità del presidente,
Dopo la moltiplicazione delle azioni repressive nei confronti dei rom e delle "genti del viaggio", così messe in una sola categoria etnica e designate come "nemico pubblico",
Noi, rom, sinti, gitani o semplicemente umani credenti nei valori umani di pace e di coesione sociale nel rispetto di tutti e di ciascuno, esigiamo dal governo francese:

1. L'abolizione dell'arsenale legislativo e regolamentare discriminatorio che continua ad essere applicato a coloro che la Francia classifica come "gente del viaggio", a cominciare dal "carnet de circulation" che è una vergogna per la Francia, a più riprese condannato dalle organizzazioni internazionali, in particolare dal Consiglio d'Europa

2. Il richiamo alla legge di tutti i responsabili politici che manifestano sempre più apertamente delle proposte razziste nei confronti dei rom, indipendentemente dal termine usato al posto di rom (zingaro, gente del viaggio, nomade, gitano, rumeno, jugoslavo, ecc.), che è utilizzato a mo' di preteso eufemismo o etichetta politicamente corretta

3. La cessazione immediata della "caccia agli zingari" che si concretizza in espulsioni di massa e successive

4. L'abolizione immediata delle restrizioni che vengono applicate ai cittadini rumeni e bulgari, in particolare il divieto d'accesso ad un lavoro legale, e l'attuazione di azione concrete per combattere le discriminazioni di fatto di cui sono oggetto i rom e tutti coloro che sono percepiti come "zingari", utilizzando, se del caso, i meccanismi e i fondi disponibili a livello europeo.




La petizione si firma qua.

giovedì 19 agosto 2010

Quel golfo come un cortile

El golfo de Trieste in una foto de la Nasa

Pogled čez morje: Gradež

Prikazoval se je zjutraj
ko je sonce razgnalo meglice,
podoben sanjam,
kot se jih spomnimo v budnosti.

Kot otroku mi ni bilo nikoli jasno,
kako lahko hiš vznikajo iz morja.,
kako lahko trdne zgradbe trepečejo
pred mojimi očmi.

V jasnih nočeh
je bil Gradež niz raznobarvnih luči,
razpotegnjenih čez obzorje.
V svoji otroški zaupljivosti
sem jih imel za speče ladje.

Bil je še mesto duhov
in mesto mrtvih,
obljubljena dežela,
v katero mi je bilo prepovedano stopiti.

In bil je čarobna bedesa,
ki sem jo šepetal ob večerih
v polmrak hotelske sobe.

In zdaj, ko spet stojim na piranski punti
in se iz jutranjih meglic luščijo hiše,
pobodne prividu,
si ne upam stopiti k blagajni
in si kupiti vozovnize za čez morje.

Peter Semolič


Sguardo oltre il mare: Grado

Si faceva vedere di buon'ora,
non appena il sole scacciava le brume,
simile ai sogni
come ce li ricordiamo al risveglio.

Ero bambino e non ho mai capito bene
come possano le case spuntare dal mare,
come gli edifici solidi possano tremare
davanti ai miei occhi.

Nelle notti chiare
Grado era una serie di luci multicolori
allungate oltre l'orizzonte.
Nel mio candore di bambino
le credevo navi dormienti.

Era ancora la città dei fantasmi
e dei morti,
la terra promessa
in cui mi era vietato mettere piede.

Ed era la parola magica
che sussurravo la sera
nella penombra della stanza d'albergo.

E ora, che di nuovo mi trovo sulla punta di Pirano
e dalla nebbiolina del mattino spuntano le case
simili a miraggi,
non me la sento di andare alla cassa
e comprare il biglietto per attraversare il mare.

Nuova poesia slovena, traduzione di Michele Obit, ZTT EST, Trieste, 1998


Cololtri

I gera frêli nostri su la tera
i gera frêli nostri su l'altar
insieme a noltri i navegheva 'l mar
de l'alba fin a sera.

Solo diverso el sovo favelâ
quela so lengua gera a noltri muro;
nei loghi nostri el dí gera siguro
e ili gera cani da scassâ.

E tu, Signor, t’ha visto 'l gran pecào
e t'ha mandào su noltri l’uragan,
la to gran man che púo n'ha sradicào
che n'ha dispersi pel mondo lontan.

Ai servi nostri tu t'ha dào la tera,
i païsi sui coli e le sitàe
sul mar coi moli duti in bianca piera
co' le stagion che par sia sempre istàe.

E adesso semo comò pagia al vento,
e no podemo mête più radise,
co' 'l cuor che duol in continuo lamento
co' boca che no' sa quel che la dise.

Biagio Marin, Elegie istriane, 1963


Quegli altri

Erano fratelli nostri sulla terra,
erano fratelli nostri sull'altare
insieme a noialtri navigavano il mare
dall'alba fino a sera.

Solo diverso il loro favellare,
quella loro lingua era per noialtri muro;
nei luoghi nostri il dí era sicuro
e quelli erano cani da scacciare.

E tu, Signore, hai visto il gran peccato
e hai mandato su noialtri l’uragano,
la tua grande mano che poi ci ha sradicato
che ci ha dispersi per il mondo lontano.

Ai servi nostri tu hai dato la terra,
i paesi sui colli e le città
sul mare con i moli tutti in bianca pietra
con stagioni che sembrano sempre estate.

E adesso siamo come paglia al vento
e non possiamo mettere più radici,
con il cuore che duole in continuo lamento
con bocca che non sa quello che dice.

El golfo de Trieste in un'imagine de Google maps


mercoledì 18 agosto 2010

Flounder

Ne rumen prtiček je nekdo napisal besedo
flounder.

Ne vem, kaj pomeni,
a njen zven je božanski.
Kot če bi se razprl cver.

Servet in plavo črnilo vzbujata v meni
še druga občutja.

Toplino angleške sprejemnice.
Milino ženskega hrbta.
Opojnost od mleka nabreklih dojk.

Med nevihto, ki pravkar divja nad Istro,
je flounder pribežališče vsemu človeškemu.
Čisto majhno je. Kot drobna pozornost.

Spet sem otrok.
Mama mi greje kavo.
Z očetom sediva na kavču
in gledava televizijo.

Flounder je, ko se Steiner odrine
in skoči rekord.

"Mama, lahko za zajtrk pojem ocvrti jajčki
s šunko?"

"Flounder", reče mama.
In flounder je tudi: lahko.

Peter Semolič



Su un tovagliolo giallo qualcuno ha scritto la parola
flounder.

Non so cosa significhi,
certo il suo suono è divino.
Come di un fiore che sboccia.

Il tovagliolo e l'inchiostro blu risvegliano in me
anche altre sensazioni.

Il calore di una sala di ricevimento inglese.
La grazia della schiena di una donna.
L'ebbrezza di un seno gonfio di latte.

Durante il temporale che proprio ora infuria sull'Istria,
flounder è il rifugio per tutto ciò che è umano.
È piccolissimo. Come una sottile attenzione.

Mi ritrovo bambino.
La mamma mi scalda il caffè.
Siedo assieme a mio padre sul divano
e guardiamo la tivù.

Flounder è il momento in cui Steiner salta
e batte il record.

"Mamma, posso mangiare per colazione uova sbattute
con prosciutto?"

"Flounder", dice la mamma.
E flounder è anche: puoi.

Nuova poesia slovena, traduzione di Michele Obit, ZTT EST, Trieste, 1998


martedì 17 agosto 2010

Quando l'Indice non basta più

Il 26 luglio del 1614, appena ricevuto un elenco dei libri in vendita all'ultima fiera di Francoforte, il cardinale Roberto Bellarmino, allora consultore della Congregazione romana del Sant'Uffizio dell'Inquisizione e membro della Sacra Congregazione dell'Indice (attiva già dal 1571), invia agli inquisitori di tutte le province una lettera.
Molto reverendo padre, questi miei Illustrissimi Signori della Sacra Congregazione dell'Indice, vedendo che di giorno in giorno va sempre più crescendo il numero de' libri infetti e perniziosi che specialmente nelle parti straniere, e più che altrove in Francfort, si stampano e si vendono, già che permette Dio per gli peccati, che non si possi rimediare che colà né si vendino né si stampino, hanno pensato di oviare almeno che simil peste de' libri non infetti queste nostre parti d'Italia; onde hanno per hora preso questo espediente, che, già per Francfort fu deputato il dottor Valentino Leucht acciò facesse la lista de i libri de' catholici, come fa ogni anno in ciascheduna delle doi fiere semestri, gli librai o altri non comprino se non quei libri che sono messi in lista dal detto Valentino. Per tanto vostra paternità, senza però dar bando ma privatamente, commanderà a tutti gli librari che sono nella sua diocesi o ad altri che fanno venir libri, che in niun conto comprino o faccino venire se non di quegli che saranno nella lista del detto Valentino, altrimenti, oltre la perdita de' libri, gl'intìmi che severamente saranno castigati; e vostra paternità, quando succedesse tal caso, ne avisi subito la detta Sacra Congregazione. Padre mio, non si straccando gli heretici e gl'inimici, non so s'io devo dir più presto de questa Santa Sede o dell'anime proprie, di seminar continuamente le zizanie de i loro errori et heresie nel campo della cristianità con tanti libri perniziosi che alla giornata mandano fuori di novo, è necessario che non si dormi, ma che ci affatichiamo di estirpargli almeno in quei lochi dove potiamo. Però vostra paternità usi (come di lei si confida) ogni diligenza acciò da cotesta sua giurisdizione totalmente si levino. Circa che l'avverto che la lista del detto Valentino esclude solo que' libri che direttamente o indirettamente mordono la riputazione di questa Sede Apostolica et alla dignità dell'Imperio, onde non fa la stessa restrittiva per tutti quegli che sono heretici e scandalosi. Per tanto non mancherà poi lei di essaminar quegli etiam della lista che espressamente non appariscono esser catholici e boni, già che abbiamo provato che ne' libri anche d'humanità (quali per il titolo pare che non trattino d'altro che di belle lettere) vi sono sparse heresie marcie e dottrine scandalose. Però di questi o simili scoprendone qualcheduno, non manchi avvisarne la Sacra Congregazione dell'Indice, inviando un poco di censura, e benché questo sia negozio importantissimo e che molto preme, non dirò più confidato che chi sia per far l'assaissimo e per il servigio che farà a S. Divina Maestà e per utilità del publico e per il debito dell'offizio suo, oltre che farà cosa di gusto grande della Santità di N. S. e di molta sodisfazione a questi miei Illustrissimi Signori Colleghi, quali meco pregano Nostro Signore la feliciti. Non manchi di accusar la ricevuta di questa.
Di Roma, li 26 di luglio 1614
Al piacer suo
Il Cardinal Bellarmino

Storia d'Italia. Il mondo dei dotti e le tradizioni popolari, Einaudi, 2005


Il Grande Inquisitor!

domenica 15 agosto 2010

Mani

La tenda

Vardavo la mia man
co' la pipa. E drio, averta,
una porta vedevo;
la tenda tra erta e erta.

Su malte, su saliso
e un pal storto, la bava
de contìnuo averzeva
la tenda e la serava.

E go vardà vardà
quel che passava drento
quel quadrato de strada,
drio la tenda ch'el vento

de siroco moveva,
viva. Oh! Tuto quel
che più me ga piasesto
al mondo, tuto quel

che go 'vudo de caro
vivendo, xe passà
par quel sbriso canton
perso ne la zità.

Virgilio Giotti, Colori, Einaudi, 1997

Guardavo la mia mano
con la pipa. E dietro, aperta,
una porta vedevo;
la tenda tra erta e erta.

Su malte, su selciato
e un palo storto, il venticello
di continuo apriva
la tenda e la chiudeva.

E ho guardato e guardato
quello che passava dentro
quel quadrato di strada,
dietro la tenda che il vento

di scirocco muoveva,
viva. Oh! Tutto quello
che più mi è piaciuto
al mondo, tutto quello

che ho avuto di caro
vivendo, è passato
per quel consunto angolo
perso nella città.


So vergeht mir der regnerische, stille Sonntag, ich sitze im Schlafzimmer und habe Ruhe aber statt mich zum Schreiben zu entschließen, in das ich z. B. vorgestern mich hätte ergießen wollen mit allem was ich bin, habe ich jetzt eine ganze Weile lang meine Finger angestarrt. Ich glaube diese Woche ganz und gar von Goethe beeinflußt gewesen zu sein, die Kraft dieses Einflusses eben erschöpft zu haben und daher nutzlos geworden zu sein.

Franz Kafka, Tagebuch, 7. Januar 1912, Sonntag

Così mi passa la domenica piovosa e calma, sto seduto nella mia camera da letto e sto in pace, ma invece di decidermi di mettermi a scrivere, attività in cui per es. avrei voluto immergermi l’altro ieri con tutto ciò che sono, ho fissato ora a lungo le mie dita. Credo di essere stato questa settimana completamente influenzato da Goethe, di avere esaurito appunto la forza di questo influsso e di essere quindi diventato inutile.

Franz Kafka, Diario, 7 gennaio 1912, domenica

“Así me va el domingo apacible – escribe Kafka -, así me va el domingo lluvioso. Estoy sentado en el dormitorio y dispongo de silencio, pero en lugar de decidirme a escribir, actividad en la que anteayer, por ejemplo, hubiese querido volcarme con todo lo que soy, me he quedado ahora largo rato mirando fijamente mis dedos. Creo che esta semana he estado influido totalmente por Goethe, creo que acabo de agotar el vigor de dicho influjo y que por ello me he vuelto inútil.”

Enrique Vila-Matas, Bartleby y compañía, Anagrama


Sólo estoy seguro de una cosa con respecto a la poesía de Nicanor Parra en este nuevo siglo: pervivirá. Esto, por supuesto, significa muy poco y Parra es el primero en saberlo. No obstante, pervivirá, junto con la poesía de Borges, de Vallejo, de Cernuda y algunos otros. Pero esto, es necesario decirlo, no importa demasiado.
La apuesta de Parra, la sonda que proyecta Parra hacia el futuro, es demasiado compleja para ser tratada aquí. También: es demasiado oscura. Posee la oscuridad del movimiento. El actor que habla o que gesticula, sin embargo, es perfectamente visible. Sus atributos, sus ropajes, los símbolos que lo acompañan como tumores son corrientes: es el poeta que duerme sentado en una silla, el galán que se pierde en un cementerio, el conferenciante que se mesa los cabellos hasta arrancárselos, el valiente que se atreve a orinar de rodillas, el eremita que ve pasar los años, el estadístico atribulado. No estaría de más que para leer a Parra uno contestara la pregunta que se hace y nos hace Wittgenstein: "¿Esta mano es una mano o no es una mano?". (La pregunta debe uno hacérsela mirando su propia mano).

Roberto Bolaño, Entre paréntesis, Ocho segundos de Nicanor Parra, Miércoles 25 de abril de 2001





E questa mano che scrive.

sabato 14 agosto 2010

MinCulPop

Trieste, 2 giugno 1977

Dettato

Oggi è la festa di tutti i Carabinieri perché si ricorda la nascita della loro Arma Benemerita.
I Carabinieri spesso rischiano la loro vita per aiutare, per difendere i bambini, le donne e gli uomini.
Ogni anno molti di questi bravissimi soldati muoiono o rimangono gravemente feriti sotto le raffiche dei mitra, dei fucili o delle pistole, sparate dai delinquenti e mascalzoni.
Questo importantissimo e rischiosissimo lavoro dei Carabinieri è pagato troppo poco.

Reperto n° 14


Reperto n° 15


Trieste, 3 giugno 1977

Continuazione del dettato precedente

Si chiama Arma Benemerita perché durante i 163 anni dalla Sua nascita ha conquistato moltissimi meriti, benemerenze, cioè lodi, durante le azioni al servizio della nostra Nazione: l'Italia.

Reperto n° 16



Uomini contro, Francesco Rosi, 1970 (link a youtube)

venerdì 13 agosto 2010

Domenica dannunziana

Nel novembre dell'anno successivo (nel 1992, ndf) Menia organizzò a Trieste una "domenica dannunziana", cui presero parte 5000 nostalgici. Richiamandosi alla Beffa di Buccari, organizzata dal poeta durante la prima guerra mondiale, in cui questi violò la baia vicino a Fiume per lasciarvi una bottiglia con un messaggio derisorio agli austriaci, egli ne ripetè il gesto. Imbarcato, insieme a Fini, su una barca a vela, gettò nel golfo di Trieste 350 bottiglie tricolori con il seguente messaggio:
Istria, Fiume, Dalmazia, terre romane, venete, italiche. La Jugoslavia muore dialaniata dalla guerra: gli ingiusti e vergognosi trattati di pace del 1947 e di Osimo nel 1975 oggi non valgono più [...] È anche il nostro giuramento: "Istria, Fiume, Dalmazia: ritorneremo!".

Jože Pirjevec, Foibe. Una storia d'Italia, Einaudi, 2009

Immagine tratta da www.cnj.it

Vivevo ancora a Trieste, allora, e, Alzheimer permettendo, dubito che mi dimenticherò mai della domenica dannunziana. Vorrei solo annnotare che dannunziano, col tempo, ha assunto una connotazione generalmente negativa, mentre finiano pare attualmente assumerne, almeno nel centro-sinistra, una piuttosto positiva, e invitare il lettore ad immaginare degli esponenti del partito più a destra del Bundestag, nel novembre del 1992, prendere il largo su una barca a vela alla volta di Kaliningrad per lanciarvi nelle acque antistanti delle bottiglie con il messaggio: Prussia orientale, Transpomerania, Brandenburgo orientale, Slesia: ritorneremo!


Quanto è bella, quanto è cara

giovedì 12 agosto 2010

El pergoleto

Son vignù fora in pèrgolo.
Qua solo, adesso, mi
no' son più quel che iero
drento: el papà, el marì,
l'impiegato, el poeta.

Nel scuro canta i grili
e xe tuto stelà.
'Na bava de levante
ne la note d'istà
passa, come un fià fresco.

Oh, se 'sto pergoleto
el se rompessi! Un svolo,
un tonfo. Là, tra l'erba
morir, mi con mi solo,
in 'sta note d'istà.

Virgilio Giotti, Colori, Einaudi, 1997



Sono uscito sul terrazzo.
Qua solo, adesso, io
non sono più quello che ero
dentro: il padre, il marito,
l'impiegato, il poeta.

Nell'oscurità cantano i grilli
ed è tutto stellato.
Una bava di levante
nella notte d'estate
passa, come un fiato fresco.

Oh, se questo terrazzino
si rompesse! Un volo,
un tonfo. Là, tra l'erba
morire, io con me solo,
in questa notte d'estate.


Caro nome

mercoledì 11 agosto 2010

In un dopopranzo de istà

Xe istà 'ncora una volta. Nuvoleti
bianchi vien su de drio del monte, i va
legeri pal zeleste, i se fa e disfa.
E in campagneta putei cori e salta,
e i se ziga tremende parolazze,
che, alegro, el fresco maistral ciol suso,
e porta via, che le mame no' senti.
E mi me piasi ancora; e vardo e scolto
vìver nùvoli e fioi; e me discordo
de mi; e son come se no' fussi più.

Virgilio Giotti, Colori, Einaudi, 1997


È estate ancora una volta. Nuvolette
bianche salgono da dietro al monte, vanno
leggere nel celeste, si fanno e disfano.
E nel campo ragazzi corrono e saltano,
e si gridano tremende parolacce,
che, allegro, il fresco maestrale coglie
e porta via, affinché le mamme non sentano.
E a me piace ancora; e guardo e ascolto
vivere nuvole e bambini; e mi scordo
di me; e sono come se non fossi più.


Гори, гори ясно (либретто)

20-core processor

Trieste, 7 febbraio 1977

Comunicazione ai genitori

Per poter imparare l'aritmetica a tutti gli scolari devono avere venti bottoni, altrimenti il maestro non può continuare il lavoro.

Reperto n° 13



Madamina, il catalogo è questo

martedì 10 agosto 2010

Matteo, di anni due e mesi tre

Tovič, metti Tovič.
Ancoa.
Ancoa.

In una matina in riva

Ghe xe 'na navisela sul mar blu,
e su, in zima del monte, xe un paeseto
nel sol, contro grandoni bianchi nùvoli.
E un altro mi che xe in mi, lu' el voria
mèterse drento in quela navisela
e andar andar su la mareta alegra;
e anca andar el voria lontan là suso
in quel ciaro paeseto.
E mi, ridendo, ghe digo de no,
e lui me ridi e el me disi sì sì.

Virgilio Giotti, Colori, Einaudi, 1997


C'è una barca sul mare blu,
e su, in cima al monte, c'è un paesetto
nel sole, contro grandissime bianche nuvole.
E un altro io che è in me, lui vorrebbe
mettersi dentro quella barca
e andare andare sulle piccole onde allegre;
e anche andare vorrebbe lontano lassù
in quel chiaro paesetto.
E io, ridendo, gli dico di no,
e lui mi ride e mi dice sì sì.


lunedì 9 agosto 2010

Poesia

Reperto n° 12


Cinque...dieci...venti...trenta...

Perché?

Trieste, agosto 2010

Nello spazio di qualche minuto, dal sottofondo delle voci da spiaggia emergono un rimprovero ad un passante (meridionale, specifica il fustigatore dei costumi) perché questi, nel tentativo di trovare spazio per la propria moto, sposta una Vespa altrui, della Schadenfreude per le migliaia di tagli al personale annunciati dall'Unicredit (che i provi lori e sfumature simili), un lamentarsi del tempo che di domenica correrebbe e lunedì mattina si fermerebbe alle 8, dei complimenti all'iniziativa inglese di affittare autobus turistici nelle città italiane (miga mone), un moto di fastidio per la raccolta differenziata (e l'osso del persigo, dove me lo meto, in tel cul?), qualche pensiero ad una suocera petulante, un gran parlare di cibo e di ristoranti, ma anche, nel mio tendere l'orecchio alla ricerca delle parole assenti dalle voci e dagli scritti del qui e ora, come ad esempio la parola perché seguita dal punto interrogativo, l'urlo della voce di Pietro Giannone e la naïveté di quella di Virgilio Giotti, che ascolto e riascolto lasciando naturalmente cadere l'accento dove il poeta maggiormente sembra allargare, inerme, le braccia:  su fioreti, ad esempio.

Final

'N un fià de àqua, a fianco
del vial, ne la cuneta,
ghe xe un muceto bianco,
come un cantuz de neve
ch'el sol no' ga disfà.

Fioreti, che la piova
ga butà zo stanote,
e che adesso la scova
del scovazzin, co' un colpo,
portarà via. Pecà!

Virgilio Giotti, Colori, Einaudi, 1997

Memorie dalla città senza acqua dolce

Trieste, 23 Novembre 1977

Gli animali

I pesci sono animali che vivono trattenendo l'ossigeno che è nell'acqua per mezzo delle branchie.
Ci sono dei pesci che vivono nei mari e altri che vivono nelle acque dolci dei fiumi e dei laghi.
Tra i pesci d'acqua dolce ricordiamo i pesci rossi.
Fra i tanti pesci del mare conosciamo: branzini (spigole), sardoni, sardelle, tonno, guatti [guati], scombri, passere, spizzi, angusigoli (aguglie), spari, menole, riboni.

Reperto n° 10


Reperto n° 11

700 copie

Nel 1843 il "Politecnico" aveva una tiratura di 700 copie, che per una rivista di cultura di quel tempo in Italia era da considerarsi assai elevata.

Storia d'Italia. Dal primo Settecento all'Unità: l'Illuminismo e il Risorgimento, Einaudi, 2005

domenica 8 agosto 2010

Pinocchio - 4

Trieste, 13 Ottobre 1977

La registrazione

Il maestro ci ha dato per compito la lettura di Pinocchio.
Oggi lo abbiamo letto davanti al registratore e così abbiamo ascoltato le nostre voci. Qualche bambino ha letto forte e bene, qualche altro meno bene.

Reperto n° 6

La scuola di Pinocchio

Il giorno dopo Pinocchio andò alla scuola comunale.
Figuratevi quelle birbe di ragazzi, quando videro entrare nella scuola un burattino! Fu una risata che non finiva più. Chi gli faceva uno scherzo, chi un altro: chi gli levava il berretto di mano; chi gli tirava il giubbettino di dietro; chi si provava a fargli con l'inchiostro due grandi baffi sotto il naso, e chi si attentava perfino a legargli dei fili ai [piedi, omissis] e alle mani, per farlo ballare.
Per un poco Pinocchio usò disinvoltura e tirò via, ma finalmente, sentendosi scappar la pazienza, si rivolse a quelli che si pigliavano gioco di lui, e disse a muso duro:
Badate, ragazzi, io non sono venuto qui per essere il vostro buffone.


Reperto n° 7


Reperto n° 8


Reperto n° 9